Laboratorio Culturale: progetti 2011

 Dal 1994 l’associazione OIKOS è impegnata a Bergamo per promuovere una cultura che riconosca nella salute un diritto primario di ogni persona. L’attività principale di OIKOS è la gestione di un ambulatorio medico di primo livello per persone immigrate non iscrivibili al SSN. In questi anni abbiamo incontrato circa 15000 persone provenienti da più di 80 paesi diversi.

Lavorando, però, abbiamo maturato la convinzione che per affrontare i problemi di salute di chi arriva “straniero” nella città è necessario anche riflettere sul nostro mondo, sulle condizioni che determinano la possibilità per tutti di vedersi garantito il diritto alla salute fisica e psichica, sugli aspetti relazionali e sociali, economici, giuridici e politici che rappresentano le determinanti profonde del nostro benessere.

Nella nostra pratica di questi anni, quindi, abbiamo sempre avuto cura di affiancare alla dimensione operativa quella riflessiva che, partendo dall’attività che stiamo gestendo, ci aiutasse anche a leggere la società in cui viviamo.

Proprio per questa ragione, nei mesi in cui OIKOS compiva 15 anni, abbiamo avviato un nuovo percorso che ora affianca il lavoro d’ambulatorio. Si tratta di organizzare un “laboratorio culturale”. L’idea è che sia sempre più importante, quasi urgente, provare a lavorare su un livello che non è solo di tipo assistenziale, rivolgendosi agli “esclusi”, ma anche di tipo culturale, rivolgendosi alla società, alla “città” dove si creano le condizioni per l’esclusione.

Non intendiamo quindi occuparci di salute solo nel senso biomedico di semplice assenza di malattia, ma in senso globale; della salute, cioè, quale indice di una situazione di ben–essere generale, di tipo fisico, psichico e sociale.

Ora stiamo preparando la prima iniziativa pubblica del laboratorio culturale.

In particolare, quest’anno, vorremmo organizzare e proporre dei momenti, delle occasioni di riflessione sul rapporto SALUTE – LAVORO e, più precisamente, sugli effetti che hanno sulla salute e sulla qualità della vita delle persone i cambiamenti nei modi di lavorare e l’incertezza del lavoro stesso. L’idea è che, considerando la molteplicità delle situazioni legate a questo tema e la grande varietà delle persone coinvolte, si possano trovare elementi comuni, elementi di unità e ragioni per una maggiore coesione sociale. Non si tratta tanto di parlare di sicurezza nei luoghi di lavoro, tema comunque sempre attuale; ma del fatto che sempre di più, così come lo stato di salute determina l’effettiva possibilità di lavorare, ugualmente il lavoro, o meglio, le condizioni in cui si lavora, il modo di lavorare, le prospettive lavorative, influiscono sulla salute e sulla qualità della vita, fino a diventarne una determinante.

COME PROMUOVERE QUESTA RIFLESSIONE?

Pensiamo che uno degli strumenti più interessanti ed efficaci possa essere quello della narrazione che, da un lato, permette di rimanere aderenti al vissuto delle persone e, dall’altro, sembra anche essere una modalità di interpretazione della realtà comune a tutte le culture. Le narrazioni sono storie così come vengono raccontate nella vita quotidiana, sono il modo più naturale e diretto con il quale le persone descrivono la propria esistenza e, spesso, la propria sofferenza.

Ci sembra che la narrazione possa essere un modo per conoscere la realtà anche attraverso gli occhi e le voci dei personaggi coinvolti.

I linguaggi attraverso cui raccogliere questi racconti possono essere diversi. Noi pensiamo di utilizzare anche forme di comunicazione non verbale, in particolare il linguaggio teatrale, quello fotografico, quello audio-visuale.

Di seguito vengono presentati sinteticamente i progetti che stiamo analizzando e che, riuscendo a raccogliere risorse sufficienti, vorremmo realizzare.

SCHEDE SINTETICHE DELLE PROPOSTE CULTURALI

 

1. PROGETTO VIDEO-RITRATTI PER OIKOS

Titolo provvisorio: “Dentro lo specchio”
A cura di Fabrizia Mutti, filmmaker

I video-ritratti sono un modo originale di guardare al tema del disagio derivante dalla mancanza di un lavoro. Si vorrebbero costruire i “video-ritratti” di dieci di persone, donne, uomini, stranieri, italiani, giovani e meno giovani, che vivono questo disagio. Le dieci persone si raccontano davanti alla telecamera usando un’identità fasulla, parlando del loro lavoro inventato, usando un alter ego, travestendosi come il personaggio che corrisponde a quello che vorrebbero essere, oppure a quello che non saranno mai. Alla fine di questi brevi ritratti compariranno le vere generalità della persona, scritte in sovra-impressione sul fermo immagine del suo volto, la vera occupazione o la mancanza di un’occupazione.

2. PROGETTO DI VIDEO-FOTOGRAFIA

Titolo provvisorio: “In bilico”
A cura di Roberto Giussani, fotografo

Obiettivo di questo lavoro è provare a “raccontare” le storie di tre persone. Tre storie sottili, invisibili. Non eclatanti o sensazionali, semplicemente esemplari. Tre vite in bilico tra passione, disagio, rivincita. Il progetto unisce i linguaggi della fotografia e dell’audio; unisce cioè la forza delle immagini e la potenza evocativa della voce, di rumori e suoni. Il risultato del lavoro potrà essere presentato su siti amici e sulle pagine web dei media, ma anche diffondendolo via vimeo e youtube, …

 3. PROGETTO FOTOGRAFIA

Titolo provvisorio: “Salute e lavoro”
A cura di Giovanni Diffidenti, fotografo

Il progetto prevede di presentare i ritratti di alcune persone accompagnati da una frase in grado di stimolare una riflessone. Si tratta di scegliere un certo numero di “soggetti comuni” da ritrarre nelle loro case, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, per strada etc. I ritratti rappresentano diverse tipologie di disagio fisico e psicologico e tutti insieme costituiscono una “fotografia-panoramica” del delicato rapporto “salute-lavoro”. Questo sguardo sulla realtà potrà essere presentato al pubblico con mezzi che di per sé attraggono l’attenzione: ad esempio, poster verticali affissi in città. Il passaggio per strada o il tempo di attesa di un autobus si può trasformare così in un momento prezioso di sensibilizzazione della cittadinanza.

4. PROGETTO TEATRO E MUSICA

Titolo provvisorio: “Lavorare stanca”
A cura del Tavolo Culturale (Candelaria Romero, Compagnia Brincadera, Operai del Cuore, Dulco Mazzoleni,, Sophies Hames, Luciano Togni, Al Vecchio Tagliere …. )

“Lavorare stanca” è uno spettacolo teatrale e musicale che prevede letture a tema, musiche dal vivo, incursioni di teatro di strada, e rappresentazione di testi poetici scritti a proposito della salute e del lavoro. Il Tavolo Culturale propone inoltre la realizzazione di fumetti che uniscano tema del lavoro a quello della salute, e che possono essere distribuiti al pubblico nel corso delle iniziative.

5. CONVEGNO

Titolo provvisorio: “Intorno al primo maggio”

Il convegno affianca le performance artistiche e svilupperà un ragionamento che, partendo dal principio che la salute (intesa in senso “globale”) è legata a una serie di determinanti di tipo economico, sociale, politico, …, intende approfondire l’analisi del rapporto esistente tra la salute stessa e il lavoro con le sue fragilità nella società attuale.

 LUGLIO 2011

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Laboratorio Culturale: Storie tra Salute e Lavoro

Narrazioni ed immagini

INTRODUZIONE

Ogni cambiamento nella e della società, per essere reale e profondo deve attraversare anche le relazioni delle persone che la compongono.

Affrontare i problemi di salute di chi arriva “straniero” nella città significa, quindi, riflettere anche sul nostro mondo, sulle condizioni che determinano la possibilità per tutti di vedersi garantito il diritto alla salute fisica e psichica, sugli aspetti relazionali e sociali, economici, giuridici e politici che rappresentano le determinanti profonde del nostro benessere.

Non intendiamo quindi occuparci di salute solo nel senso biomedico, di semplice assenza di malattia, ma in senso globale; della salute, cioè, quale indice di una situazione di ben–essere generale, di tipo fisico, psichico e sociale. Essa si dà dentro traiettorie di vita nelle quali le dimensioni della materialità e della libertà personale si completano con pratiche di prossimità, relazionalità e responsabilità nei confronti del contesto umano ed ambientale nel quale ci si trova a vivere. Il buen vivir, appunto.

QUALCHE RIFLESSIONE

In particolare vorremmo organizzare e proporre dei momenti, delle occasioni di riflessione sul rapporto SALUTE – LAVORO e, più precisamente, sugli effetti che hanno sulla salute e sulla qualità della vita delle persone i cambiamenti nei modi di lavorare e l’incertezza del lavoro stesso. L’idea è che, considerando la molteplicità delle situazioni legate a questo tema e la grande varietà delle persone coinvolte, si possano trovare elementi comuni, elementi di unità e ragioni per una maggiore coesione sociale. Non si tratta tanto di parlare di sicurezza nei luoghi di lavoro, tema comunque sempre attuale; ma del fatto che sempre di più, così come lo stato di salute determina l’effettiva possibilità di lavorare, ugualmente il lavoro, o meglio, le condizioni in cui si lavora, il modo di lavorare, le prospettive lavorative, influiscono sulla salute fino a diventarne una determinante.

Come non considerare, specialmente in questo momento storico, quale impatto può avere sulla salute fisica e psicologica e sul benessere complessivo delle persone l’esclusione dal mondo del lavoro? Il licenziamento ha spesso effetti negativi sulla salute della persona che lo subisce e sulla sua famiglia. Ma anche altre persone che non abbiano subito il trauma del licenziamento possono vivere situazioni analoghe. Soprattutto in una condizione di incertezza accresciuta dalla crisi economica che si sta attraversando, si pensi all’influenza che possono avere, oltre alla disoccupazione o alla prolungata cassa integrazione, anche il lavoro precario, quello interinale, quello “in nero”. Tutto ciò crea insicurezza che non è solo economica, ma che, più complessivamente è legata alla fatica di poter immaginare un futuro sereno e di veder riconosciuta la propria dignità di persona. Questo vale ancora di più per chi trova nel lavoro non solo un veicolo di integrazione sociale e una base di benessere economico, ma anche una condizione imprescindibile per realizzare il proprio progetto migratorio.

Non dovrebbe sorprendere che a proporre questa riflessione sia un’associazione che da anni si occupa/preoccupa di salute. Forse proprio chi si prende cura di un corpo può rendersi conto che esso, lungi dall’essere la somma delle parti che lo compongono, è invece la sintesi di una storia, raccoglie e racconta una biografia, rappresenta il luogo dove trovano unità tutti gli elementi della vita di una persona; è lo spazio, la realtà che “esprime” tutto ciò che un uomo o una donna vive, con cui narra la propria storia e la strada che ha percorso.

Ma il corpo può essere visto anche in un altro modo. Come oggetto, strumento di lavoro, ingrediente essenziale per collocarsi all’interno del sistema produttivo. Quando si ammala deve essere curato, “riparato”, allo scopo di preservare le energie per il suo ruolo economico. La sofferenza di una persona, in questa prospettiva, ha diritto di essere presa in carico nella misura in cui essa va ad impattare sulle performaces produttive di chi la vive.

Proprio qui può però avvenire un paradossale ribaltamento. La malattia, oltre che incidente di percorso dentro la dimensione lavorativa del soggetto in questione, sembra assumere un ruolo differente: quello di dispositivo attraverso cui poter esprimere, al di là della semplice alterazione biologica, il proprio disagio esistenziale. Con l’implicita (ed spesso inconscia) richiesta che esso venga ricondotto alle sue vere origini: socio-economiche, politiche, umane.

Il corpo insomma ha l’importante ruolo di “parola”. La domanda di cura, così come la ricerca di lavoro gratificante e, più in generale, l’aspirazio ne a una condizione di benessere globale, sono anche richieste di “riconoscimento”. Della dignità di cui ogni persona si sente portatrice, titolare.

All’interno di questo quadro, va ricordato che esistono documenti che richiamano fortemente il legame esistente tra il concetto di dignità umana e le condizioni materiali di vita. In particolare la Dichiarazione universale dei diritti umani (articolo 23) e la Costituzione italiana (Titolo III), non solo dedicano uno spazio particolare al lavoro, ma, in particolare la nostra Costituzione, individuando nel lavoro un fondamento della Repubblica (art. 1), sottolinea il nesso fra dignità della persona e condizioni di libertà e uguaglianza a livello economico e sociale (art. 3).

COME PROMUOVERE QUESTA RIFLESSIONE?

Pensiamo che uno degli strumenti più interessanti e d efficaci possa essere quello della narrazione che, da un lato, permette di rimanere aderenti al vissuto delle persone e, dall’altro, sembra anche essere una modalità di interpretazione della realtà comune a tutte le culture. Le narrazioni sono storie così come vengono raccontate nella vita quotidiana, sono il modo più naturale e diretto con il quale le persone descrivono la propria esistenza e, spesso, la propria sofferenza. Ci sembra possa essere un modo per conoscere la realtà anche attraverso gli occhi e le voci dei personaggi coinvolti.

I linguaggi attraverso cui raccogliere questi racconti possono essere molti. Noi pensiamo di ricorrere anche a forme non verbali, in particolare al linguaggio teatrale, a quello fotografico, a quello audio-visuale.

Crediamo importante coinvolgere in questo percorso altri soggetti della città: dalle realtà che già s’interessano al tema del lavoro (i sindacati, i centri d’educazione degli adulti, l’università, ecc.), a chi sperimenta nella propria vita il delicato rapporto tra salute e lavoro (ad es. gli studenti, i precari, ecc.), alla “gente comune” perché pensiamo che siano molte le persone che, raccontando la propria storia, possano offrire suggestioni e suscitare riflessioni utili per costruire una società più attenta e più ospitale per tutti.

Ci rivolgiamo a chi si occupa, a vario titolo, di teatro, fotografia, cinema, di narrazioni perché crediamo che utilizzando gli occhiali dell’estetica oltre a quelli dell’etica possiamo approfondire il nostro sguardo e la nostra comprensione sulle tematiche cui abbiamo accennato e che ci stanno a cuore.

Bergamo, novembre 2010

laboratorio-culturale

Laboratorio Culturale

PREMESSA

15 anni fa nasceva a Bergamo l’esperienza dell’ambulatorio OIKOS. L’obiettivo statutario è di “PROMUOVERE UNA CULTURA CHE RICONOSCA NELLA SALUTE UN DIRITTO PRIMARIO DI CHIUNQUE”.

L’obiettivo ultimo, però, è arrivare a “chiudere” l’ambulatorio perché sarebbe segno che nessuno è più escluso dall’assistenza sanitaria. Ma in questi anni, soprattutto in un contesto come quello lombardo, sembra che non si facciano, che non si riescano a fare, passi in quella direzione. Le ragioni sono senza dubbio molte e attengono ad aspetti diversi (tra cui, non ultimo, le caratteristiche stesse delle organizzazioni di volontariato).
In questi anni la legislazione nazionale ha compiuto importanti progressi per garantire il massimo dell’inclusione, tuttavia è difficile credere che si arriverà realmente (almeno in tempi brevi) ad una situazione in cui la salute sarà riconosciuta come un diritto primario di ogni persona, in cui anche le persone immigrate non iscritte al SSN potranno essere adeguatamente tutelate e in cui, quindi, gli ambulatori come OIKOS termineranno il loro
percorso.

Ripensando all’esperienza di questi anni, una delle evidenze con cui ci siamo misurati spessissimo, è che “la salute non è solo assenza di malattia”. La “salute” di cui si parla nello statuto fa riferimento in modo quasi esclusivo alla salute fisica e alla sua cura, ma nella realtà quotidianamente incontriamo uomini e donne concreti (non solo CORPI decontestualizzati) che esprimono anche attraverso il malessere fisico un disagio più
complessivo, legato spesso alla condizione di immigrato/a clandestino/a in una società poco accogliente.

Alcuni provvedimenti legislativi recentemente approvati a livello nazionale hanno ulteriormente complicato le cose per le persone immigrate e per chi con loro lavora. Ripensando a questi avvenimenti, ci chiediamo da dove “arrivino”. L’impressione è che, in qualche modo, siano figli di una certa cultura che sembra aver fatto dell’”esclusione” un valore, e che sembrano produrre, indurre o, quanto meno, abituare a una certa mentalità,
che stiano provocando comportamenti individuali e istituzionali difficili da condividere.

In questi anni, come OIKOS, abbiamo scelto di muoverci su tre binari: – organizzando, un servizio rivolto agli “esclusi” (l’ambulatorio); – ricercando, mantenendo rapporti con le strutture sanitarie del territorio, principali erogatrici dell’assistenza; – e, soprattutto a livello nazionale (attraverso alcuni organismi di coordinamento come la Società Italiana Medicina delle Migrazioni), collaborando, coinvolgendo (dove e come possibile) e cercando di
ispirare il legislatore perché, di fronte all’evidente esistenza di un bisogno, si progettassero e approvassero politiche sanitarie più “inclusive”.

Osservando le vicende sociali, politiche e legislative anche degli ultimi mesi è apparso però evidente che, se l’obiettivo vuole essere ancora quello di lavorare per “promuovere una cultura che riconosca nella salute un diritto per tutti”, non è (più) sufficiente rivolgere la propria attenzione e azione a chi è escluso. Forse non basta lavorare sull’ambito medico o su quello dei migranti o su quello “politico” dei rapporti con le istituzioni. Sembra sempre più necessario, quasi urgente, muoversi esplicitamente sul versante di chi esclude, non tanto gli organismi di rappresentanza quanto coloro che li eleggono. Se le associazioni sono STRUTTURE SOCIALI INTERMEDIE tra gli individui e le istituzioni, finora come OIKOS abbiamo cercato di lavorare/incidere/interagire più con le istituzioni (almeno locali) che non con “la gente”. E, in questo senso, il non aver interloquito,
coinvolto, convinto “la gente”, gli individui che esprimono la classe politica (coloro che decidono) mostra, in qualche modo, il limite della nostra azione. L’attività di OIKOS può anche essere vista come un modo per continuare a “inseguire un’emergenza”, come una fatica di Sisifo, se non si riuscirà a incidere sul contesto sociale e culturale all’interno del quale nascono le scelte politiche, se non si riuscirà (impegnandosi soprattutto in una
dimensione strettamente locale) a “investire in cultura”, se non si riuscirà a produrre un pensiero diverso e a costruire un consenso sempre maggiore intorno ai temi della convivenza e del legame sociale.

Certo, le difficoltà e le implicazioni che la scelta di muoversi in questo modo può comportare sono molte. Tuttavia, senza interrompere quanto stiamo facendo, né rinnegare quanto fatto finora, ma considerando la storia dell’esperienza OIKOS come la radice da cui questo progetto nasce, come OIKOS riteniamo che questo debba essere un nuovo essenziale terreno su cui investire in futuro.

COME OCCUPARSENE?
Attraverso un LABORATORIO CULTURALE.

Il concetto di LABORATORIO fa riferimento all’intenzione, alla possibilità di costruire iniziative e di vivere esperienze su cui riflettere e far riflettere. Non si vuole assolutamente dare l’impressione di “aver qualcosa da insegnare”.
In realtà l’idea è di ricercare, di sperimentare, di costruire qualcosa di nuovo per chiunque parteciperà a questo progetto. Se davvero vogliamo incontrare persone che finora non hanno mai ritenuto utile o interessante occuparsi di questi temi, bisognerà riuscire a farlo con il massimo della disponibilità possibile, con l’intento di costruire confronti senza pregiudizi o preclusioni.

Con il termine CULTURALE, invece, si vuole fare riferimento a tre concetti:

  1. la cultura COME OGGETTO su cui lavorare. Essa non è una realtà definitiva, immutabile (è un CANTIERE APERTO) e proprio per questa ragione sarà interessante trovare o creare spazi, tempi e strumenti anche nuovi per riflettere sulle caratteristiche della cultura attuale.
  2. la cultura come SCENARIO. Si lavora “NELLA CULTURA” (cioè partendo e tenendo in considerazione il contesto storico, sociale e culturale attuale, in cui ci si muove)
  3. la cultura COME PRODOTTO, COME RISULTATO. Si lavora anche “PER PRODURRE CULTURA”, cioè per sperimentare cose nuove e per produrre cambiamenti in quella che attualmente appare dominante e che è caratterizzata spesso da individualismo, separazione, esclusione.

Pensiamo che la costruzione della cultura non avvenga per trasmissione diretta, ma richieda sempre e comunque un’adesione personale, individuale. Infatti, ognuno è portatore di convinzioni, conoscenze, abitudini, desideri, intenzioni, … propri, che lo rendono assolutamente unico. Le culture e le storie individuali non devono essere negate, tuttavia riteniamo che, sia importante considerare che esse, pur essendo le nostre RADICI, a volte diventano anche delle ANCORE, dei freni, e che un atteggiamento critico nei confronti delle propria cultura può e deve essere sviluppato.

CHE COS’ È UN LABORATORIO CULTURALE?

Un luogo/spazio dove conoscere e far conoscere, riflettere e far riflettere, ascoltare
e far ascoltare, guardare e far guardare, … Un luogo/spazio di COMUNICAZIONE con la città. Non dovrebbe essere un luogo, né si dovrebbero organizzare iniziative rivolte solo ad un’élite, a una ristretta minoranza che già condivide con OIKOS principi, ideali e obiettivi. Andranno pensate, progettate e realizzate iniziative e attività rivolte alla cosiddetta “gente qualunque”.
Un luogo/spazio dove rielaborare quanto succede (a partire magari proprio dall’esperienza di questi anni di OIKOS), dove PRODURRE PENSIERO che possa diventare fattore di trasformazione sociale incidendo sulla cultura e sul costume sociale.

CON QUALE OBIETTIVO?

In effetti, l’obiettivo del laboratorio culturale potrebbe essere lo stesso dell’associazione OIKOS, (“promuovere una cultura che riconosca nella salute un diritto primario di chiunque”) con l’unica differenza che in questo caso il termine “salute” potrebbe avere un significato più ampio.
Sarebbe utile e interessante lavorare sul concetto dello STARE BENE. Quale connessione tra lo “stare bene” e la “salute”? Cosa vuol dire “stare bene”? Cosa serve per sentirsi bene? Per tutti servono le stesse cose? …

COME SI VUOLE OPERARE?
  • stabilendo collaborazioni sulle singole iniziative con altri soggetti della società civile, interessati a portare avanti con noi questo lavoro.
  • proponendo iniziative e attività “di DISTURBO” capaci cioè di sollecitare prima di tutto la curiosità e l’interesse dalle gente comune.
  • utilizzando strumenti volti innanzitutto a far riflettere oltre che a fornire conoscenze, a mettere in discussione pregiudizi radicati
  • proponendo iniziative e attività che puntino l’attenzione NON TANTO SULL’IMMIGRATO, ma su tematiche TRASVERSALI, che riguardino anche la persona migrante, ma che, prima di tutto, riguardano l’essere umano in quanto tale. Per lavorare sul tema della cultura è necessario in un certo senso superare la logica che, seppure con le buone intenzioni,
  • continuando a sottolineare il “noi” (sottintendendo, “italiani”) e il “loro” (sottintendendo gli “stranieri”, indipendentemente dal tempo di loro permanenza in Italia e da qualsiasi altra considerazione), di fatto continua a sottolineare una DIFFERENZA, una DISTANZA, una SEPARAZIONE che invece riteniamo importante superare. Non si vuole negare che ci siano diversi approcci alla vita, diverse convinzioni, mentalità, abitudini, …, ma forse non è corretto pensare che tali differenze siano dovute esclusivamente alle provenienze nazionali.
CON QUALI STRUMENTI?

Partendo dalla considerazione che gli strumenti non sono “neutri”, sarà importante scegliere con cura e oculatezza gli strumenti comunicativi utilizzati in qualunque fase del lavoro. Per quanto non sia pensabile decidere ora quali strumenti privilegiare, riteniamo però che sarà opportuno fare ricorso a una pluralità di linguaggi comunicativi per riuscire a “incontrare” il maggior numero di persone possibile.

COME LAVORARE? QUALE “STILE”?

Probabilmente è difficile stabilire a priori e completamente con quale “stile” operare; quello che invece è possibile è indicare quali sono le “attenzioni” che vorremmo coltivare sia a livello delle relazioni che delle azioni da mettere in atto. Il resto dipenderà, in una buona misura, dalle persone che decideranno di partecipare attivamente al laboratorio culturale e che diventeranno, per questo, i principali attori e artefici del progetto.
Rispetto a questo argomento abbiamo deciso che l’adesione sarà proposta solo alle singole persone e non a gruppi e/o associazioni. Le realtà già strutturate saranno coinvolte volta per volta nelle iniziative organizzate, ma il lavoro che si sta prospettando prevede un coinvolgimento personale che non potrebbe essere delegato ad altri.

Rispetto alle scelte di metodo su cui abbiamo iniziato a confrontarci e che richiederanno comunque ulteriori approfondimenti e discussioni, di seguito vengono indicati alcuni degli spunti emersi.

Viviamo in un contesto in cui, mentre si sente parlare spesso di identità (individuale o collettiva), sembra emergere con sempre maggiore evidenza quanto il definirla sia complesso. Laddove si cerca di farlo, poi, si ha l’impressione che, a volte, si mettano in atto azioni “di difesa”, quasi che per definire se stessi si percepisca come indispensabile negare, sminuire “l’altro”. In questo contesto in cui pochi aspetti dell’identità collettiva, intesa rigidamente, tendono ad essere assunti come criterio per legittimare una discriminazione, si cercherà di lavorare proponendo iniziative in cui abbiano sempre spazio punti di vista, conoscenze e orizzonti diversi)

In una società in cui la maggior parte della comunicazione avviene attraverso il linguaggio orale o attraverso i mezzi di comunicazione di massa (prevalentemente attraverso lo strumento televisivo e la stampa) si cercherà, da un lato, di prestare attenzione, di lavorare anche sul (proprio) linguaggio per “sorvegliarlo”, per individuare e cercare di modificare gli elementi più o meno espliciti di razzismo e discriminazione utilizzati anche inconsapevolmente nei vari contesti di vita (lavorativo, familiare, genericamente relazionale, ….); dall’altro si cercherà di privilegiare anche altre forme comunicative (visive, artistiche, ….).

In una cultura in cui sembra spesso dominante un modello fondato sull’individualismo, sulla paura dell’altro, sul consumo come principale strada per la soddisfazione, la scelta è quella di muoversi all’interno e con la forma di una realtà di volontariato che si fonda su una logica opposta, di sobrietà, di fiducia nell’altro, di coscienza dei propri limiti, di centralità del bene comune, del bene di tutti.

In una società in cui scelte e comportamenti individuali, collettivi, mediatici, istituzionali, legislativi sembrano spesso caratterizzati da aggressività e istintività si cercherà di trovare modi di gestire il conflitto (che inevitabilmente emerge dal confronto con la diversità) che sappiano essere pacati e rispettosi anche delle idee, opinioni, posizioni che non si condividono.

In una società in cui sembra diffusa la tendenza ad affrontare e presentare questioni complicate mettendo in atto una semplificazione eccessiva che non facilita la comprensione, ma che può provocare reazioni essenzialmente viscerali e/o emotive (si pensi al tema della sicurezza), si cercherà di affrontare le “questioni importanti” con l’intenzione di approfondire la riflessione e di promuovere la conoscenza e il confronto.

In un momento storico di crisi della politica, in cui la politica gestita dai partiti, è vista con diffidenza, sospetto o al più con indifferenza, noi continuiamo a credere che occuparsi di cultura sia già di per sé un’azione politica il cui compito dovrebbe “essere quello di garantire il pluralismo delle forme di vita e la coesistenza pacifica delle storie personali e delle culture. Il principio della sussidiarietà in fondo rafforza questa tesi, affermando che la stessa libertà di iniziativa dei cittadini è chiamata a prendersi cura dell’interesse generale e dunque ad assumere un rilievo politico. La cura del bene comune deve diventare una responsabilità diffusa nel corpo sociale” (Filippo Pizzolato).

Gennaio 2010

Progetto Chagas: la scheda epidemiologica utilizzata

Di seguito potete visionare la scheda epidemiologica utilizzata nella raccolta dati del progetto Chagas.

Download (PDF, 24KB)

Progetto Nabruka: primo report dei dati

Di seguito è possibile prendere visione al primo report dei dati riguardo al Progetto Nabruka.

Download (PDF, 1.36MB)

Progetto Nabruka: il poster dei risultati

Di seguito potete trovare il poster dei risultati del Progetto Nabruka.

Download (PDF, 89KB)

Progetto Nabruka: perchè Nabruka

Nel momento in cui si stava organizzando il progetto è circolata la notizia della morte di Nabruka Mimuni avvenuta nel CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione) di Ponte Galeria. Era tunisina. Aveva 44 anni. Sarebbe stata espulsa la mattina successiva, ma le sue compagne l’hanno trovata impiccata in bagno. Nabruka era in Italia da più di vent’anni e lascia un marito e un figlio. Era stata fermata due settimane prima dalla polizia. Momentaneamente senza lavoro, non le era stato rinnovato il permesso di soggiorno. Questo ha significato tornare ad essere “clandestina”.

Ci è sembrato che dare a questo progetto con il nome di questa donna potesse aiutarci a non dimenticare a cosa può portare l’esclusione sociale.

OBIETTIVI:

  • Offrire un programma di screening per patologie HPV-correlate a donne residenti nella provincia di Bergamo ed escluse dai tradizionali programmi di screening
  • Valutare l’eventuale maggiore valore predittivo positivo per queste patologie del test E6/E7 HPVmRNA rispetto al Pap test e al Pap test HPV DNA

Il progetto concretamente ha offerto a donne migranti “irregolari” uno screening primario per il carcinoma cervicale e il triage secondario per quelle a rischio di sviluppare (o portatrici di) SIL ad alto grado. La procedura per l’arruolamento ha previsto: anonimato, consenso informato, colloquio informativo. Alla luce dei risultati ottenuti le donne possono essere invitate a ripetere l’esame dopo tre anni, dopo un anno, sei mesi oppure essere sottoposte ad indagine colposcopica e eventuale terapia.

Dal  6 agosto 2009  al  31 marzo 2010 sono stati effettuati presso OIKOS (dall’ostetrica finanziata dalla Lega Tumori) 169 prelievi (= pap test). 9 delle donne incontrate hanno evidenziato la necessità di essere sottoposte a colposcopia; 12 dovranno rifare il pap test dopo 6 o 12 mesi; per 31 è stata rilevata la presenza di flogosi o candida

PROBLEMI:

  • difficoltà nel reclutamento delle donne (collegabile alla più generale riduzione dell’utenza OIKOS)
  • iniziale difficoltà nella collaborazione con il reparto di ginecologia per l’esecuzione degli accertamenti di secondo livello alle donne risultate positive al test (una delle condizioni poste da OIKOS in fase preliminare all’avvio del progetto era che fosse attivato un percorso diagnostico e terapeutico completo e che quindi fosse garantita anche questa possibilità alle donne sottoposte al pap test e che ne avessero avuto necessità)
  • trasferimento in corso d’opera del primario dell’anatomia patologica degli Ospedali Riuniti, principale referente all’interno dell’azienda ospedaliera del progetto Nabruka
  • riduzione delle donazioni raccolte dalla Lega Tumori con conseguente ridimensionamento dell’investimento nel progetto (sia per l’acquisto dei kit per l’esecuzione dei pap test, sia per il pagamento dell’ostetrica). Infatti si è deciso che si raggiungerà la quota di 200 pazienti sottoposte al pap test e poi si sospenderà.

PROSPETTIVE:

Nel corso di un incontro avuto con la direzione sanitaria degli Ospedali Riuniti si è sottolineato quanto sia importante  che l’esperienza possa proseguire anche con modalità diverse, al fine di assicurare anche a questa popolazione l’accesso ad un  test di diagnosi oncologica precoce.

Il dr. Sileo (direttore sanitario) si è riservato di valutare con il nuovo responsabile dell’Anatomia Patologica l’utilità di proseguire l’esperienza con la medesima procedura (HPVRna), e di continuare ad accogliere le donne migranti reclutate attraverso OIKOS presso il centro prelievi, con richiesta del medico (per il pap test) e codice STP. Le risposte, come succede ora, potrebbero essere restituite alle pazienti tramite OIKOS (previa autorizzazione), che quindi è in grado anche di comunicare eventuali referti “positivi”, attivando da subito le procedure terapeutiche, in accordo con l’U.O. di Ginecologia.

Aprile 2010

Progetto Nabruka: le caratteristiche

Dal documento di presentazione progetto elaborato dalla LILT Bergamo

 

Human Papilloma Virus mRNA nel triage delle lesioni cervico-vaginali in donne migranti temporaneamente residenti in Italia

 

Riassunto del progetto

Obiettivi: Negli ultimi anni i flussi migratori hanno determinato l’aumento di donne che per motivi di lavoro o ricongiungimento famigliare hanno raggiunto il nostro paese. L’elevata incidenza di migranti “irregolari” rende problematico impostare programmi assistenziali e di screening adeguati. L’attuale progetto di studio si prefigge lo scopo di offrire un programma di screening per patologie HPV-correlate a donne escluse  dai programmi tradizionali temporaneamente residenti nella provincia di Bergamo e valutare l’eventuale maggiore valore predittivo positivo per queste patologie del test E6/E7 HPVmRNA rispetto al Pap test e al test HPV DNA. La procedura per l’arruolamento prevede: anonimato, consenso informato, colloquio informativo e accettazione di brochure sulle malattie a trasmissione sessuale.

Metodi: L’analisi molecolare consta di due test: HPV DNA mediante Hybrid Capture assay e HPVmRNA mediante NucliSENSE assay.  Alla luce dei risultati ottenuti le donne potranno essere invitate a ripetere l’esame dopo tre anni, dopo un anno oppure essere sottoposte ad indagine colposcopica e eventuale terapia. In particolare si valuterà l’impatto del test HPVmRNA sul percorso diagnostico, al fine di stabilire se tale test potrà, in futuro, essere inserito da solo o affiancato a HPV DNA nella pratica clinica.

Salute Pubblica: il progetto offre a donne migranti “irregolari” uno screening primario per il carcinoma cervicale e il triage secondario per quelle a rischio di sviluppare (o portatrici di)  SIL ad alto grado. Lo studio, in linea con quanto previsto dal D.L. 25/07/1998, costituisce uno strumento idoneo per diffondere la cultura della prevenzione di una delle principali malattie a trasmissione sessuale e della patologia tumorale tra donne che spesso vivono malattie in cui l’esclusione stessa dalla diagnosi tempestiva svolge un ruolo prognostico negativo. Dall’analisi dei dati, si otterranno informazioni utili sulla prevalenza dell’infezione in questo gruppo di persone e indicazioni sulle eventuali misure di profilassi da instaurare.

Background e razionale

Il carcinoma della cervice è il tumore maligno ginecologico più frequente al mondo e la seconda forma tumorale maligna nella donna; la sua incidenza stimata è di circa 500.000 casi all’anno (1). Esistono differenze drammatiche tra paesi in cui esiste un’attenta assistenza sanitaria e programmi di screening con Pap test e alcuni paese dell’America latina, della zona Caraibica e dell’Africa dove il carcinoma della cervice è la più comune causa di morte per cancro nella donna (2). E’ ampiamente condivisa l’ipotesi che l’incidenza del carcinoma cervicale sia correlata all’attività sessuale e in particolare all’età dei primi rapporti, a partners multipli, a storie di infezioni veneree. Negli Stati Uniti, donne a basso livello socio-economico Ispaniche o Colorate hanno maggiore incidenza di malattia: i tassi di incidenza sono stimati in 8,1/100.000 nuovi casi all’anno per le donne bianche, 11/100.000 nelle Colorate e 14,4/100.000 nelle  ispaniche (2).In Italia i dati dei registri tumori dal 1998 al 2002 dimostrano che ogni anno sono stati diagnosticati 3500 nuovi casi di carcinoma della cervice; l’incidenza è di 10 casi per 100.000; più di 1000 donne muoiono ogni anno in Italia per questa patologia (3). Nel corso della vita il rischio di avere una diagnosi di carcinoma della cervice è del 6,2 per 1000 (1 caso ogni 163 donne) mentre il rischio di morire è di 0,8 per 1000. Sia l’incidenza che la mortalità  tendono a diminuire nel tempo (3). Considerati i tempi lunghi per la progressione verso il carcinoma, acquistano  grande importanza i programmi di screening che consentono di identificare lesioni precancerose e di intervenire prima che evolvano in carcinoma. Nel corso degli ultimi anni i flussi migratori hanno determinato una maggiore presenza di donne migranti nel nostro paese,  per motivi lavorativi e per ricongiungimento familiare. La  presenza di migranti irregolari  rende estremamente difficile impostare programmi sanitari adeguati (4). Meritevoli istituzioni pubbliche e private cercano di fornire risposte adeguate ai bisogni di salute degli stranieri temporaneamente residenti. Particolare attenzione deve essere posta alla prevenzione, diagnosi e terapia delle malattie sessualmente trasmesse a alla diagnosi delle patologie HPV correlate. Attualmente i programmi di screening sono fondati sul Pap test associato o meno al test molecolare per la rivelazione di HPV e del suo genotipo. L’adozione di metodiche di screening dotate di un elevato valore predittivo positivo può rappresentare un elemento importante per identificare rapidamente le pazienti con patologia evolutiva e sottoporle all’esame colposcopico e alla terapia. Recenti meta-analisi hanno dimostrato che l’accuratezza del Pap test varia notevolmente con valori di sensibilità tra il 30 e l’87%(5,6). Vista l’elevata incidenza di Pap test falsi-negativi e il  suo impatto sulla salute pubblica, si sono attivati importanti studi che hanno dimostrato che il test molecolare per HPV DNA ha maggiore sensibilità del Pap Test nel rilevare la neoplasia cervicale intraepiteliale (5,6). Questa lesione si sviluppa con la necessaria presenza di genotipi ad alto rischio di HPV (HR-HPV), ma l’espressione degli oncogeni E6-E7 di HPV è necessaria per il mantenimento del genoma virale, la proliferazione cellulare e la progressione tumorale della malattia (7). Pertanto determinare la presenza di E6/E7 mRNA di HR-HPV potrebbe servire a identificare le pazienti effettivamente a rischio di sviluppare il tumore. Questo studio si propone di valutare se il test HPVmRNA possa rappresentare per le donne migranti uno strumento di triage di patologia cervicale più sensibile rispetto al Pap Test associato al test molecolare per HPV-DNA

Metodologia del progetto

Studi epidemiologici e molecolari hanno dimostrato che la correlazione tra attività sessuale e carcinoma cervicale è dovuta alla trasmissione del virus epiteliotropico e oncogenico HPV (virus del papilloma umano) (1). Il carcinoma cervicale è il primo tumore ad essere riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come completamente riconducibile alla infezione HPV (8)

Ad oggi sono identificati oltre 120 genotipi di HPV che infettano l’uomo e, tra questi, circa 40 sono associati a patologie del distretto ano-genitale. I diversi genotipi vengono distinti in “basso” ed “alto” rischio di indurre trasformazione neoplastica: quelli a basso rischio sono associati a lesioni benigne come i condilomi ano genitali, mentre quelli ad alto rischio sono implicati nella patogenesi del carcinoma cervicale, del carcinoma del pene, della vagina, dell’ano.

I genotipi virali ad alto rischio più frequentemente associati a carcinoma della cervice sono il 16 e il 18, responsabili complessivamente di circa il 70% dei carcinomi cervicali (9).

La storia naturale dell’infezione che è condizionata dall’equilibrio tra ospite e virus infettante, può seguire tre diverse forme: regredire, persistere o progredire. Si calcola che il 70-90% delle infezioni sia transitoria, con una pronta eliminazione del virus prima che questo possa sviluppare il suo effetto patogeno (9): la persistenza dell’infezione da HPV ad alto rischio, può essere influenzata dal fumo di sigaretta, dalla co-infezione con altri patogeni sessualmente trasmessi e dall’elevato numero di partners (10). Per questi motivi i programmi di screening svolgono un importante ruolo preventivo: nel territorio bergamasco della Valle Cavallina dove è attivo un programma di screening della popolazione femminile dal 1989, a cura della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, il tasso standardizzato di mortalità per tumore dell’utero è di 0,09, rispetto ad una media provinciale di 0,84 (11)

La presente proposta riguarda uno studio cross-sezionale di una popolazione di donne di età compresa tra i 30 e i 55 anni liberamente afferenti nell’arco di 24 mesi nell’ambulatorio Ostetrico Ginecologico dell’ASL della Provincia di Bergamo e nell’Ambulatorio Ostetrico Ginecologico di Oikos Onlus. Tutte le donne che parteciperanno al progetto dovranno compilare un  questionario che verrà mantenuto anonimo e che riporterà i seguenti dati:

•   Età
•   Livello scolare
•   Provenienza
•   Tempo di permanenza in Italia
•   Tipo di lavoro prestato in Italia,
•   Età al menarca
•   Età del primo rapporto sessuale
•   Numero di figli
•   Se fumatrice quante sigarette al giorno e da quanto tempo.

Il questionario fornirà elementi epidemiologici utili alle organizzazioni sanitarie e sociali che cooperano al presente studio e dati importanti al fine di impostare successivi studi comparativi con la popolazione italiana.

A loro richiesta e previa informazione dello studio in corso e dopo aver acquisito la sottoscrizione del modulo per il consenso informato, personale qualificato  (ostetriche diplomate) eseguirà prelievo ambulatoriale cervicale per PAP Test tradizionale e prelievo per test molecolare HPV DNA e HPV mRNA. Il preparato citologico e il prelievo per lo studio degli acidi nuclei virali dovranno pervenire in double-bag da noi fornita entro due giorni presso il servizio di Anatomia Patologica degli Ospedali Riuniti di Bergamo, accompagnati da una scheda  riportante i dati seguenti:

•   Generalità criptate e acquisite in sede di intervista precedente il prelievo
•   Data dell’ultimo esame citologico ed eventuale esito dello stesso
•   Data dell’ultima mestruazione
•   Se gravidanza in corso
•   Se portatrice di IUD
•   Se sono presenti perdite ematiche atipiche e se sì da quanto tempo
•   Se in anamnesi sono presenti interventi chirurgici ginecologi e se sì di che tipo
•   Se è in corso terapia ormonale e se sì specificare quale
•   Se è stata o è  somministrata terapia radiante o chemioterapia, se sì per quale causa

Nella stessa sede la paziente dovrà sottoscrivere consenso informato riguardante la protezione dei dati personali (D.lgs. n. 196 del 30-6-2003) e l’uso dei dati ottenuti dallo studio .

La donna riceverà una brochure redatta in italiano, inglese, francese, spagnolo, russo, rumeno e arabo che la informerà sulle possibilità, i limiti e le modalità del programma di screening . Nella stessa brochure verranno riportate semplici misure di profilassi della malattie a trasmissione sessuale.

I tempi di risposta non saranno superiori ai venti giorni per offrire alle pazienti in cui verrà riscontrato un Pap test con SIL ad alto grado, la possibilità di ottenere nell’ambito dei Servizi ambulatoriali dell’Ospedale un adeguato approfondimento diagnostico e la eventuale terapia necessaria.

Al momento della consegna del referto, il medico volontario dell’organizzazione sociale a cui la donna è afferita avrà un colloquio con la paziente e le illustrerà i percorsi successivi in funzione dello schema seguente:

Pap test borderline (ASC-US o LSIL) e HPV DNA positivo : esame colposcopico

Pap test positivo per H-SIL con HPV DNA con qualsiasi esito: esame colposcopico

Pap test borderline e HPV DNA negativo: controllo entro un anno

Pap test negativo e HPV DNA positivo : controllo entro un anno

Se l’impatto dello studio sarà favorevole in termini di servizio offerto, si proporrà un convenzionamento diretto delle organizzazioni sociali a cui si riferiscono le donne con gli Ospedali Riuniti di Bergamo. Tale convenzione potrà essere sostenuta da finanziamenti richiesti sulla scorta dei dati ottenuti da questo progetto pilota.

Metodica

Campioni endo ed esocervicali verranno prelevati con spazzola per prelievo citologico (Cervex Brush, ROVERS Madical Devices B.V. Oss-NL) con la quale si allestirà lo striscio tradizionale fissato con Cytospray (Bioptica, Milano, I), quindi la spazzola verrà agitata nel contenitore con la soluzione PreservCyt (Cytec Corp, Boxborough, MA,USA) e destinato agli esami molecolari.

Il test per HR-HPV (genotipi 16,18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59 e 68) verrà eseguito con l’Hybrid Capture II assay (Digene, Garithersburg, MD, USA) secondo le istruzioni del produttore. I risultati verranno forniti come rapporto tra Relative Lights Units (RLU) e la soglia positiva del test definita a 1.0 pg of HPV DNA/ml. La performance di questo test è equivalente a quella dei protocolli di riferimento per la rivelazione in PCR di HPV su campioni ad uso clinico e la sua sensibilità analitica è di 0,2 pg di HPV DNA pari a circa 20.000 equivalenti genomici di HPV (12). L’ mRNA totale varrà estratto usando l’Rneasy Miniprotocol (Quiagen, Valencia, CA, USA). L’identificazione individuale dei trascritti di E6/E7 mRNA da HPV 16,18,31,33 e 45 verrà eseguito con l’assay NucliSENS HPV (Biomerieux, F) secondo le istruzioni del produttore. Oligonucleotidi standardizzati, corrispondenti alla sequenza virale, verranno inclusi come controllo positivo per ciascun genotipo virale. Per evitare risultati falsi negativi dovuti alla possibile degradazione dell’RNA, un set di primer e una sonda diretta contro la piccola ribonucleoproteina umana U1 (sn RNP) proteina specifica A (U1AmRNA) verranno usate come controllo di performance. La sensibilità analitica di NucliSENS è inferiore a 10 cellule SiHA equivalenti a 20 copie di HPV 16 e a meno di 1 cellula HeLa equivalente a 25 copie di HPV 18. La sensibilità analitica è basata sul random testing di vari tipi di HPV; nessuna cross reattività è stata dimostrata tra HPV 6,11,16,18,31,33,35,39,45,51,52 e 58 (13).

Analisi ulteriori in PCR e sequenziamento verranno eseguite nei seguenti casi:

a) Pap Test negativo o con lesione squamosa intraepiteliale a basso grado (L-SIL), test HPV DNA positivo e test mRNA negativo

b) Pap test con SIL ad alto grado, test HPV DNA positivo e mRNA negativo

c) Pap test con SIL ad alto grado ed entrambe i test molecolari negativi.

L’analisi di sequenza verrà eseguita su prodotti di PCR ottenuti usando i “consensus primers” Gp5+/6+ e Cpl/CpllG (14,15). Un’aliquota del prodotto di PCR verrà sequenziata con il metodo “chain-termination” di Sanger, in cui la reazione di sequenza con DNA sequencing kit (Applied Biosystems, Foster City, CA,USA) avverrà usando i primers di PCR come primers di sequenza. I prodotti della reazione verranno analizzati con ABI Prism 3100 (Applied Biosystems). L’identificazione delle sequenze sarà eseguita con software per analisi di sequenza Ominga (Accelrys, San Diego, CA, USA) in funzione dell’NCBI Sequence Database.

Analisi citologica

Tutti i Pap test verranno studiati da citotecnici esperti operanti nell’USC di Anatomia Patologica dell’A.O. Ospedali Riuniti di Bergamo, dove da oltre 20 anni vengono esaminati più di 20.000 Pap test /anno. I referti verranno compilati secondo i criteri del sistema Bethesda (16).

Diagnosi istologica

Tutti i casi di SIL verranno proposti per esame colposcopico ed eventuale successiva conizzazione. Le lesioni istologiche verranno classificate secondo lo schema WHO (17)

Analisi statistica

L’associazione tra le variabili categoriche verrà valutata con il test Chi-quadro (Pearson, associazione lineare e test di McNemars) e il coefficiente Kappa. Le differenze tra gruppi indipendenti verranno sottoposte al test di Mann-Whitney. I dati verranno analizzati con un software SPSS (versione 11.5).

 

Obiettivi del progetto

Attualmente i programmi di screening sono fondati su PAP test associato o meno al test molecolare per la rivelazione di HPV e del suo genotipo. A tali programmi accedono con facilità le donne residenti, ma le donne migranti “irregolari” ne sono escluse. Nel presente studio si valuterà l’impatto di tre metodiche di screening su una popolazione di donne migranti irregolari afferenti spontaneamente al consultorio Ostetrico Ginecologico dell’ASL di Bergamo e all’ambulatorio OIKOS Onlus di Bergamo. Si prevede di poter reclutare da 700 a 1000 donne per anno per due anni.

Gli obiettivi del progetto  sono:

1)   Offrire la possibilità di screening per la prevenzione del tumore della cervice dell’utero a pazienti escluse dalle campagne di prevenzione tradizionali

2)   Valutare il valore predittivo positivo del test HPVmRNA nei confronti di una metodica ampiamente in uso

3)   Rivalutare l’accuratezza diagnostica del Pap test verso metodiche molecolari

4)   Identificare i genotipi di HPV DNA non compresi nel pool diagnostico Nuclisense

5)   Valutare se il presumibilmente ridotto numero di campioni positivi per mRNA sia correlabile a maggiore specificità analitica nei confronti di HPV DNA

6)   Valutare se il test mRNA sia sufficientemente specifico per condizioni precancerose o cancerose e possa nel futuro essere usato come metodica “stand alone” o essere associato a Pap test e/o HPV DNA

7)   Valutare se eventuali casi DNA positivi e mRNA negativi rappresentino veri falsi negativi del test mRNA o infezioni latenti o transitorie da controllare con follow up

8)   Valutare con analisi di sequenza se test mRNA positivi e DNA negativi siano risultati falsi positivi da cross reazione con genotipi non valutabili con il test HPV DNA usato

9)   Valutare se alla luce dei dati ottenuti l’analisi del rapporto costo/benefici del test mRNA  sia favorevole alla sua introduzione nella pratica clinica sostituendo o, più verosimilmente affiancando il test a DNA

 

 

Bibliografia essenziale

 

1)   Russel AH et al. Cancer of the cervix, vagina and vulva; in Clinical Oncology, Abeloff MD ed, Churchill Livingstone 2004; 2217-2271

2)   National Institute of Health Consensus Development Conference Statement: Cervical Cancer. April 13, 1996. J Natl Cancer Inst Monogr 1996; 22:vii

3)   AIRT working group. I tumori in Italia: rapporto 2006. Incidenza, mortalità, stime. Epidemiologia e Prevenzione 2006; (1) S: 64-65

4)   Caritas di Roma. Dossier Statistico Immigrazione 2003. Roma 2003

5)   Naucler P, Ryd W, Tornberg S et al. Human Papillomavirus and Papanicolaou tests to screen cervical cancer. N Engl J Med 2007; 357: 1579-1588

6)   Mayrand MH, Duarte Franco E, Rodrigues I et al. Human Papillomavirus DNA versus Papanicolaou screening test for cervical cancer. N Engl J Med 2007; 357: 1579-1588

7)   zur Hausen H, De Villers EM. Human Papillomaviruses. Annu Rev Microbiol 1994; 48:427-447

8)   Bosch FX, Lorinc A, Munoz N et al. The casual relation between human papilloma virus and cervical cancer . J Clin Pathol 2002; 55:244-265

9)  Walboomers JM, Jacobs MV, Manos MM et al. Human papillomavirus is necessary cause of invasive cervical cancer worldwide. J Pathol 1999; 189:12-19

10) IARC Working Group. Human Papillomaviruses. IARC Monographs on the evaluation of carcinogenic risk to humans; vol.64. Lyon. International Agency for Research on cancer; 1995

11) ASL della provincia di Bergamo: La mortalità oncologica in provincia di Bergamo, anni 1995-2003 ;pp79-81

12) Davies P, Kornegay J, Iftner T., Current methods of testing for human papillomavirus, Best Pract. Res. Clin.Obstet. Gynaecol., Volume: 15, pp 677-700

13) Lie AK, Risberg B, Borge B et al. DNA-versus RNA-based methods from human papillomavirus detection in cervical neoplasia. Gynecol. Oncol. 2005; 97(3): 908-915

14) De Roda  Husman AM, Walboomes JMM, Meijer CJLM et al. The use of general primers GP5+ and GP6+ elongated at their 3’ends with adjacent highly conserved sequences improves human papillomavirus detection by PCR, J. Gen. Virol., Volume 76, (1995), pp 1057-1062

15) Tieben L.M., Ter Schegget J., MinnaarR.P., Bouwes Bavinck J.N. Berkhout R.J. Vermeer B.J., et al. Detection of cutaneous and genital HPV types in clinical samples by PCR using consensus primers. J. Virol. Methods, Volume: 42, (1993), pp 265-279

16) Solomon D., Davey D., Kurman R. et al. The 2001 Bethesda System: terminology for reporting results of cervical cytology. JAMA 2002; 287: 2114-2119

17)World Health Organization Classification of Tumors. Tumors of the breast and female genital organs. Tavassoli F and Devilee P, eds IARC press, Lyon 2003. Pp 262-283

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Progetto Nabruka, ricerca-azione sulla prevenzione secondaria del tumore al collo dell’utero

Obiettivo  del progetto Nabruka

Offrire un programma di screening primario per patologie HPV-correlate a donne migranti “irregolari” escluse dallo screening anche se residenti nella provincia di Bergamo, ed il triage secondario per quelle a rischio di sviluppare (o portatrici di) SIL di alto grado.

Pazienti e metodi

A  Bergamo, l’Associazione OIKOS Onlus, la LILT Onlus e  l’Istituto di Anatomia Patologica e Citologia dell’ASST Giovanni XXIII di Bergamo hanno offerto alle donne straniere “irregolari”, la possibilità di effettuare il Pap-test gratuitamente.

Dal 6 Agosto 2009 al 6 maggio 2010, 182 donne maggiori di 20 anni si sono rivolte agli ambulatori Oikos Onlus. Di ognuna sono stati registrati: età, grado di istruzione, anni di permanenza in Italia, occupazione, abitudine al fumo, età del primo rapporto, uso di anticoncezionali, n. di aborti.

Le donne sottoposte volontariamente a Pap Test sono state informate dello svolgimento dello studio in corso e hanno sottoscritto il modulo per il consenso informato; il prelievo ambulatoriale cervicale per PAP Test in fase liquida e per test HPV mRNA è stato effettuato presso l’ambulatorio Oikos Onlus da personale ostetrico. Il materiale così prelevato è stato inviato in double-bag entro due giorni presso il servizio di Anatomia Patologica degli Ospedali Riuniti di Bergamo, accompagnato da una scheda  riportante dati anagrafici e clinici. I test sono stati diagnosticati secondo la classificazione Bethesda 2001. Nei casi risultati non-negativi, il materiale è stato utilizzato per valutare l’espressione di HPVRNA (Nuclisens BioMerieux).

Le donne con Pap test negativo sono state invitate a ripetere l’esame dopo tre anni; in caso di test borderline (ASC-US o L-SIL) sono state invitate a ripetere l’esame dopo sei mesi e comunque sottoposte al parere del medico operante presso l’ambulatorio OIKOS;  in caso di ASC-H o H-SIL sono state sottoposte a visita ginecologica ed eventuale colposcopia .

Alle donne reclutate è stata distribuita una brochure redatta in italiano, inglese, francese, spagnolo, russo, rumeno e arabo con informazioni sulle possibilità, i limiti e le modalità del programma di screening, e semplici misure di profilassi delle malattie a trasmissione sessuale.

Risultati

Delle 182 donne valutate 121 provenivano dal Sud-America e 61 dall’Africa e dall’Europa dell’Est. La maggior parte aveva un’istruzione primaria o secondaria ed occupazione come badante o collaboratrice familiare.

165 Pap test (90,66%) erano negativi.

17 campioni (9,34%) sono  risultati:

L-SIL                            35,3%

ASC-US                        35,3%

H-SIL                            17,6%

ASC-H                          11,8%

n. 7 mRNA positivi (41,2%):  n. 3 HPV 16 (42,9%),  n. 2 HPV 31 (28,6%),  n. 1 HPV 33 (14,3%) e n. 1 HPV 18,33 (14,3%)

n. 7 mRNA negativi (41,2%)

n. 3 non valutabili  (17,6%)

Conclusioni

La percentuale di donne con Pap test non negativo e positive all’HPV RNA (9,34%) è in linea rispetto ad un analogo campione di donne italiane (dal 7% al 10% ), con la medesima incidenza di ceppi (16,18, 31 e 33).

Il dato particolarmente significativo riguarda la distribuzione per area geografica: risulta essere positivo il 18% delle donne provenienti dall’Europa, contro il 7% della popolazione proveniente dall’America Latina.