Laboratorio Culturale: progetti 2011

 Dal 1994 l’associazione OIKOS è impegnata a Bergamo per promuovere una cultura che riconosca nella salute un diritto primario di ogni persona. L’attività principale di OIKOS è la gestione di un ambulatorio medico di primo livello per persone immigrate non iscrivibili al SSN. In questi anni abbiamo incontrato circa 15000 persone provenienti da più di 80 paesi diversi.

Lavorando, però, abbiamo maturato la convinzione che per affrontare i problemi di salute di chi arriva “straniero” nella città è necessario anche riflettere sul nostro mondo, sulle condizioni che determinano la possibilità per tutti di vedersi garantito il diritto alla salute fisica e psichica, sugli aspetti relazionali e sociali, economici, giuridici e politici che rappresentano le determinanti profonde del nostro benessere.

Nella nostra pratica di questi anni, quindi, abbiamo sempre avuto cura di affiancare alla dimensione operativa quella riflessiva che, partendo dall’attività che stiamo gestendo, ci aiutasse anche a leggere la società in cui viviamo.

Proprio per questa ragione, nei mesi in cui OIKOS compiva 15 anni, abbiamo avviato un nuovo percorso che ora affianca il lavoro d’ambulatorio. Si tratta di organizzare un “laboratorio culturale”. L’idea è che sia sempre più importante, quasi urgente, provare a lavorare su un livello che non è solo di tipo assistenziale, rivolgendosi agli “esclusi”, ma anche di tipo culturale, rivolgendosi alla società, alla “città” dove si creano le condizioni per l’esclusione.

Non intendiamo quindi occuparci di salute solo nel senso biomedico di semplice assenza di malattia, ma in senso globale; della salute, cioè, quale indice di una situazione di ben–essere generale, di tipo fisico, psichico e sociale.

Ora stiamo preparando la prima iniziativa pubblica del laboratorio culturale.

In particolare, quest’anno, vorremmo organizzare e proporre dei momenti, delle occasioni di riflessione sul rapporto SALUTE – LAVORO e, più precisamente, sugli effetti che hanno sulla salute e sulla qualità della vita delle persone i cambiamenti nei modi di lavorare e l’incertezza del lavoro stesso. L’idea è che, considerando la molteplicità delle situazioni legate a questo tema e la grande varietà delle persone coinvolte, si possano trovare elementi comuni, elementi di unità e ragioni per una maggiore coesione sociale. Non si tratta tanto di parlare di sicurezza nei luoghi di lavoro, tema comunque sempre attuale; ma del fatto che sempre di più, così come lo stato di salute determina l’effettiva possibilità di lavorare, ugualmente il lavoro, o meglio, le condizioni in cui si lavora, il modo di lavorare, le prospettive lavorative, influiscono sulla salute e sulla qualità della vita, fino a diventarne una determinante.

COME PROMUOVERE QUESTA RIFLESSIONE?

Pensiamo che uno degli strumenti più interessanti ed efficaci possa essere quello della narrazione che, da un lato, permette di rimanere aderenti al vissuto delle persone e, dall’altro, sembra anche essere una modalità di interpretazione della realtà comune a tutte le culture. Le narrazioni sono storie così come vengono raccontate nella vita quotidiana, sono il modo più naturale e diretto con il quale le persone descrivono la propria esistenza e, spesso, la propria sofferenza.

Ci sembra che la narrazione possa essere un modo per conoscere la realtà anche attraverso gli occhi e le voci dei personaggi coinvolti.

I linguaggi attraverso cui raccogliere questi racconti possono essere diversi. Noi pensiamo di utilizzare anche forme di comunicazione non verbale, in particolare il linguaggio teatrale, quello fotografico, quello audio-visuale.

Di seguito vengono presentati sinteticamente i progetti che stiamo analizzando e che, riuscendo a raccogliere risorse sufficienti, vorremmo realizzare.

SCHEDE SINTETICHE DELLE PROPOSTE CULTURALI

 

1. PROGETTO VIDEO-RITRATTI PER OIKOS

Titolo provvisorio: “Dentro lo specchio”
A cura di Fabrizia Mutti, filmmaker

I video-ritratti sono un modo originale di guardare al tema del disagio derivante dalla mancanza di un lavoro. Si vorrebbero costruire i “video-ritratti” di dieci di persone, donne, uomini, stranieri, italiani, giovani e meno giovani, che vivono questo disagio. Le dieci persone si raccontano davanti alla telecamera usando un’identità fasulla, parlando del loro lavoro inventato, usando un alter ego, travestendosi come il personaggio che corrisponde a quello che vorrebbero essere, oppure a quello che non saranno mai. Alla fine di questi brevi ritratti compariranno le vere generalità della persona, scritte in sovra-impressione sul fermo immagine del suo volto, la vera occupazione o la mancanza di un’occupazione.

2. PROGETTO DI VIDEO-FOTOGRAFIA

Titolo provvisorio: “In bilico”
A cura di Roberto Giussani, fotografo

Obiettivo di questo lavoro è provare a “raccontare” le storie di tre persone. Tre storie sottili, invisibili. Non eclatanti o sensazionali, semplicemente esemplari. Tre vite in bilico tra passione, disagio, rivincita. Il progetto unisce i linguaggi della fotografia e dell’audio; unisce cioè la forza delle immagini e la potenza evocativa della voce, di rumori e suoni. Il risultato del lavoro potrà essere presentato su siti amici e sulle pagine web dei media, ma anche diffondendolo via vimeo e youtube, …

 3. PROGETTO FOTOGRAFIA

Titolo provvisorio: “Salute e lavoro”
A cura di Giovanni Diffidenti, fotografo

Il progetto prevede di presentare i ritratti di alcune persone accompagnati da una frase in grado di stimolare una riflessone. Si tratta di scegliere un certo numero di “soggetti comuni” da ritrarre nelle loro case, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, per strada etc. I ritratti rappresentano diverse tipologie di disagio fisico e psicologico e tutti insieme costituiscono una “fotografia-panoramica” del delicato rapporto “salute-lavoro”. Questo sguardo sulla realtà potrà essere presentato al pubblico con mezzi che di per sé attraggono l’attenzione: ad esempio, poster verticali affissi in città. Il passaggio per strada o il tempo di attesa di un autobus si può trasformare così in un momento prezioso di sensibilizzazione della cittadinanza.

4. PROGETTO TEATRO E MUSICA

Titolo provvisorio: “Lavorare stanca”
A cura del Tavolo Culturale (Candelaria Romero, Compagnia Brincadera, Operai del Cuore, Dulco Mazzoleni,, Sophies Hames, Luciano Togni, Al Vecchio Tagliere …. )

“Lavorare stanca” è uno spettacolo teatrale e musicale che prevede letture a tema, musiche dal vivo, incursioni di teatro di strada, e rappresentazione di testi poetici scritti a proposito della salute e del lavoro. Il Tavolo Culturale propone inoltre la realizzazione di fumetti che uniscano tema del lavoro a quello della salute, e che possono essere distribuiti al pubblico nel corso delle iniziative.

5. CONVEGNO

Titolo provvisorio: “Intorno al primo maggio”

Il convegno affianca le performance artistiche e svilupperà un ragionamento che, partendo dal principio che la salute (intesa in senso “globale”) è legata a una serie di determinanti di tipo economico, sociale, politico, …, intende approfondire l’analisi del rapporto esistente tra la salute stessa e il lavoro con le sue fragilità nella società attuale.

 LUGLIO 2011

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Laboratorio Culturale: Storie tra Salute e Lavoro

Narrazioni ed immagini

INTRODUZIONE

Ogni cambiamento nella e della società, per essere reale e profondo deve attraversare anche le relazioni delle persone che la compongono.

Affrontare i problemi di salute di chi arriva “straniero” nella città significa, quindi, riflettere anche sul nostro mondo, sulle condizioni che determinano la possibilità per tutti di vedersi garantito il diritto alla salute fisica e psichica, sugli aspetti relazionali e sociali, economici, giuridici e politici che rappresentano le determinanti profonde del nostro benessere.

Non intendiamo quindi occuparci di salute solo nel senso biomedico, di semplice assenza di malattia, ma in senso globale; della salute, cioè, quale indice di una situazione di ben–essere generale, di tipo fisico, psichico e sociale. Essa si dà dentro traiettorie di vita nelle quali le dimensioni della materialità e della libertà personale si completano con pratiche di prossimità, relazionalità e responsabilità nei confronti del contesto umano ed ambientale nel quale ci si trova a vivere. Il buen vivir, appunto.

QUALCHE RIFLESSIONE

In particolare vorremmo organizzare e proporre dei momenti, delle occasioni di riflessione sul rapporto SALUTE – LAVORO e, più precisamente, sugli effetti che hanno sulla salute e sulla qualità della vita delle persone i cambiamenti nei modi di lavorare e l’incertezza del lavoro stesso. L’idea è che, considerando la molteplicità delle situazioni legate a questo tema e la grande varietà delle persone coinvolte, si possano trovare elementi comuni, elementi di unità e ragioni per una maggiore coesione sociale. Non si tratta tanto di parlare di sicurezza nei luoghi di lavoro, tema comunque sempre attuale; ma del fatto che sempre di più, così come lo stato di salute determina l’effettiva possibilità di lavorare, ugualmente il lavoro, o meglio, le condizioni in cui si lavora, il modo di lavorare, le prospettive lavorative, influiscono sulla salute fino a diventarne una determinante.

Come non considerare, specialmente in questo momento storico, quale impatto può avere sulla salute fisica e psicologica e sul benessere complessivo delle persone l’esclusione dal mondo del lavoro? Il licenziamento ha spesso effetti negativi sulla salute della persona che lo subisce e sulla sua famiglia. Ma anche altre persone che non abbiano subito il trauma del licenziamento possono vivere situazioni analoghe. Soprattutto in una condizione di incertezza accresciuta dalla crisi economica che si sta attraversando, si pensi all’influenza che possono avere, oltre alla disoccupazione o alla prolungata cassa integrazione, anche il lavoro precario, quello interinale, quello “in nero”. Tutto ciò crea insicurezza che non è solo economica, ma che, più complessivamente è legata alla fatica di poter immaginare un futuro sereno e di veder riconosciuta la propria dignità di persona. Questo vale ancora di più per chi trova nel lavoro non solo un veicolo di integrazione sociale e una base di benessere economico, ma anche una condizione imprescindibile per realizzare il proprio progetto migratorio.

Non dovrebbe sorprendere che a proporre questa riflessione sia un’associazione che da anni si occupa/preoccupa di salute. Forse proprio chi si prende cura di un corpo può rendersi conto che esso, lungi dall’essere la somma delle parti che lo compongono, è invece la sintesi di una storia, raccoglie e racconta una biografia, rappresenta il luogo dove trovano unità tutti gli elementi della vita di una persona; è lo spazio, la realtà che “esprime” tutto ciò che un uomo o una donna vive, con cui narra la propria storia e la strada che ha percorso.

Ma il corpo può essere visto anche in un altro modo. Come oggetto, strumento di lavoro, ingrediente essenziale per collocarsi all’interno del sistema produttivo. Quando si ammala deve essere curato, “riparato”, allo scopo di preservare le energie per il suo ruolo economico. La sofferenza di una persona, in questa prospettiva, ha diritto di essere presa in carico nella misura in cui essa va ad impattare sulle performaces produttive di chi la vive.

Proprio qui può però avvenire un paradossale ribaltamento. La malattia, oltre che incidente di percorso dentro la dimensione lavorativa del soggetto in questione, sembra assumere un ruolo differente: quello di dispositivo attraverso cui poter esprimere, al di là della semplice alterazione biologica, il proprio disagio esistenziale. Con l’implicita (ed spesso inconscia) richiesta che esso venga ricondotto alle sue vere origini: socio-economiche, politiche, umane.

Il corpo insomma ha l’importante ruolo di “parola”. La domanda di cura, così come la ricerca di lavoro gratificante e, più in generale, l’aspirazio ne a una condizione di benessere globale, sono anche richieste di “riconoscimento”. Della dignità di cui ogni persona si sente portatrice, titolare.

All’interno di questo quadro, va ricordato che esistono documenti che richiamano fortemente il legame esistente tra il concetto di dignità umana e le condizioni materiali di vita. In particolare la Dichiarazione universale dei diritti umani (articolo 23) e la Costituzione italiana (Titolo III), non solo dedicano uno spazio particolare al lavoro, ma, in particolare la nostra Costituzione, individuando nel lavoro un fondamento della Repubblica (art. 1), sottolinea il nesso fra dignità della persona e condizioni di libertà e uguaglianza a livello economico e sociale (art. 3).

COME PROMUOVERE QUESTA RIFLESSIONE?

Pensiamo che uno degli strumenti più interessanti e d efficaci possa essere quello della narrazione che, da un lato, permette di rimanere aderenti al vissuto delle persone e, dall’altro, sembra anche essere una modalità di interpretazione della realtà comune a tutte le culture. Le narrazioni sono storie così come vengono raccontate nella vita quotidiana, sono il modo più naturale e diretto con il quale le persone descrivono la propria esistenza e, spesso, la propria sofferenza. Ci sembra possa essere un modo per conoscere la realtà anche attraverso gli occhi e le voci dei personaggi coinvolti.

I linguaggi attraverso cui raccogliere questi racconti possono essere molti. Noi pensiamo di ricorrere anche a forme non verbali, in particolare al linguaggio teatrale, a quello fotografico, a quello audio-visuale.

Crediamo importante coinvolgere in questo percorso altri soggetti della città: dalle realtà che già s’interessano al tema del lavoro (i sindacati, i centri d’educazione degli adulti, l’università, ecc.), a chi sperimenta nella propria vita il delicato rapporto tra salute e lavoro (ad es. gli studenti, i precari, ecc.), alla “gente comune” perché pensiamo che siano molte le persone che, raccontando la propria storia, possano offrire suggestioni e suscitare riflessioni utili per costruire una società più attenta e più ospitale per tutti.

Ci rivolgiamo a chi si occupa, a vario titolo, di teatro, fotografia, cinema, di narrazioni perché crediamo che utilizzando gli occhiali dell’estetica oltre a quelli dell’etica possiamo approfondire il nostro sguardo e la nostra comprensione sulle tematiche cui abbiamo accennato e che ci stanno a cuore.

Bergamo, novembre 2010

laboratorio-culturale

Laboratorio Culturale

PREMESSA

15 anni fa nasceva a Bergamo l’esperienza dell’ambulatorio OIKOS. L’obiettivo statutario è di “PROMUOVERE UNA CULTURA CHE RICONOSCA NELLA SALUTE UN DIRITTO PRIMARIO DI CHIUNQUE”.

L’obiettivo ultimo, però, è arrivare a “chiudere” l’ambulatorio perché sarebbe segno che nessuno è più escluso dall’assistenza sanitaria. Ma in questi anni, soprattutto in un contesto come quello lombardo, sembra che non si facciano, che non si riescano a fare, passi in quella direzione. Le ragioni sono senza dubbio molte e attengono ad aspetti diversi (tra cui, non ultimo, le caratteristiche stesse delle organizzazioni di volontariato).
In questi anni la legislazione nazionale ha compiuto importanti progressi per garantire il massimo dell’inclusione, tuttavia è difficile credere che si arriverà realmente (almeno in tempi brevi) ad una situazione in cui la salute sarà riconosciuta come un diritto primario di ogni persona, in cui anche le persone immigrate non iscritte al SSN potranno essere adeguatamente tutelate e in cui, quindi, gli ambulatori come OIKOS termineranno il loro
percorso.

Ripensando all’esperienza di questi anni, una delle evidenze con cui ci siamo misurati spessissimo, è che “la salute non è solo assenza di malattia”. La “salute” di cui si parla nello statuto fa riferimento in modo quasi esclusivo alla salute fisica e alla sua cura, ma nella realtà quotidianamente incontriamo uomini e donne concreti (non solo CORPI decontestualizzati) che esprimono anche attraverso il malessere fisico un disagio più
complessivo, legato spesso alla condizione di immigrato/a clandestino/a in una società poco accogliente.

Alcuni provvedimenti legislativi recentemente approvati a livello nazionale hanno ulteriormente complicato le cose per le persone immigrate e per chi con loro lavora. Ripensando a questi avvenimenti, ci chiediamo da dove “arrivino”. L’impressione è che, in qualche modo, siano figli di una certa cultura che sembra aver fatto dell’”esclusione” un valore, e che sembrano produrre, indurre o, quanto meno, abituare a una certa mentalità,
che stiano provocando comportamenti individuali e istituzionali difficili da condividere.

In questi anni, come OIKOS, abbiamo scelto di muoverci su tre binari: – organizzando, un servizio rivolto agli “esclusi” (l’ambulatorio); – ricercando, mantenendo rapporti con le strutture sanitarie del territorio, principali erogatrici dell’assistenza; – e, soprattutto a livello nazionale (attraverso alcuni organismi di coordinamento come la Società Italiana Medicina delle Migrazioni), collaborando, coinvolgendo (dove e come possibile) e cercando di
ispirare il legislatore perché, di fronte all’evidente esistenza di un bisogno, si progettassero e approvassero politiche sanitarie più “inclusive”.

Osservando le vicende sociali, politiche e legislative anche degli ultimi mesi è apparso però evidente che, se l’obiettivo vuole essere ancora quello di lavorare per “promuovere una cultura che riconosca nella salute un diritto per tutti”, non è (più) sufficiente rivolgere la propria attenzione e azione a chi è escluso. Forse non basta lavorare sull’ambito medico o su quello dei migranti o su quello “politico” dei rapporti con le istituzioni. Sembra sempre più necessario, quasi urgente, muoversi esplicitamente sul versante di chi esclude, non tanto gli organismi di rappresentanza quanto coloro che li eleggono. Se le associazioni sono STRUTTURE SOCIALI INTERMEDIE tra gli individui e le istituzioni, finora come OIKOS abbiamo cercato di lavorare/incidere/interagire più con le istituzioni (almeno locali) che non con “la gente”. E, in questo senso, il non aver interloquito,
coinvolto, convinto “la gente”, gli individui che esprimono la classe politica (coloro che decidono) mostra, in qualche modo, il limite della nostra azione. L’attività di OIKOS può anche essere vista come un modo per continuare a “inseguire un’emergenza”, come una fatica di Sisifo, se non si riuscirà a incidere sul contesto sociale e culturale all’interno del quale nascono le scelte politiche, se non si riuscirà (impegnandosi soprattutto in una
dimensione strettamente locale) a “investire in cultura”, se non si riuscirà a produrre un pensiero diverso e a costruire un consenso sempre maggiore intorno ai temi della convivenza e del legame sociale.

Certo, le difficoltà e le implicazioni che la scelta di muoversi in questo modo può comportare sono molte. Tuttavia, senza interrompere quanto stiamo facendo, né rinnegare quanto fatto finora, ma considerando la storia dell’esperienza OIKOS come la radice da cui questo progetto nasce, come OIKOS riteniamo che questo debba essere un nuovo essenziale terreno su cui investire in futuro.

COME OCCUPARSENE?
Attraverso un LABORATORIO CULTURALE.

Il concetto di LABORATORIO fa riferimento all’intenzione, alla possibilità di costruire iniziative e di vivere esperienze su cui riflettere e far riflettere. Non si vuole assolutamente dare l’impressione di “aver qualcosa da insegnare”.
In realtà l’idea è di ricercare, di sperimentare, di costruire qualcosa di nuovo per chiunque parteciperà a questo progetto. Se davvero vogliamo incontrare persone che finora non hanno mai ritenuto utile o interessante occuparsi di questi temi, bisognerà riuscire a farlo con il massimo della disponibilità possibile, con l’intento di costruire confronti senza pregiudizi o preclusioni.

Con il termine CULTURALE, invece, si vuole fare riferimento a tre concetti:

  1. la cultura COME OGGETTO su cui lavorare. Essa non è una realtà definitiva, immutabile (è un CANTIERE APERTO) e proprio per questa ragione sarà interessante trovare o creare spazi, tempi e strumenti anche nuovi per riflettere sulle caratteristiche della cultura attuale.
  2. la cultura come SCENARIO. Si lavora “NELLA CULTURA” (cioè partendo e tenendo in considerazione il contesto storico, sociale e culturale attuale, in cui ci si muove)
  3. la cultura COME PRODOTTO, COME RISULTATO. Si lavora anche “PER PRODURRE CULTURA”, cioè per sperimentare cose nuove e per produrre cambiamenti in quella che attualmente appare dominante e che è caratterizzata spesso da individualismo, separazione, esclusione.

Pensiamo che la costruzione della cultura non avvenga per trasmissione diretta, ma richieda sempre e comunque un’adesione personale, individuale. Infatti, ognuno è portatore di convinzioni, conoscenze, abitudini, desideri, intenzioni, … propri, che lo rendono assolutamente unico. Le culture e le storie individuali non devono essere negate, tuttavia riteniamo che, sia importante considerare che esse, pur essendo le nostre RADICI, a volte diventano anche delle ANCORE, dei freni, e che un atteggiamento critico nei confronti delle propria cultura può e deve essere sviluppato.

CHE COS’ È UN LABORATORIO CULTURALE?

Un luogo/spazio dove conoscere e far conoscere, riflettere e far riflettere, ascoltare
e far ascoltare, guardare e far guardare, … Un luogo/spazio di COMUNICAZIONE con la città. Non dovrebbe essere un luogo, né si dovrebbero organizzare iniziative rivolte solo ad un’élite, a una ristretta minoranza che già condivide con OIKOS principi, ideali e obiettivi. Andranno pensate, progettate e realizzate iniziative e attività rivolte alla cosiddetta “gente qualunque”.
Un luogo/spazio dove rielaborare quanto succede (a partire magari proprio dall’esperienza di questi anni di OIKOS), dove PRODURRE PENSIERO che possa diventare fattore di trasformazione sociale incidendo sulla cultura e sul costume sociale.

CON QUALE OBIETTIVO?

In effetti, l’obiettivo del laboratorio culturale potrebbe essere lo stesso dell’associazione OIKOS, (“promuovere una cultura che riconosca nella salute un diritto primario di chiunque”) con l’unica differenza che in questo caso il termine “salute” potrebbe avere un significato più ampio.
Sarebbe utile e interessante lavorare sul concetto dello STARE BENE. Quale connessione tra lo “stare bene” e la “salute”? Cosa vuol dire “stare bene”? Cosa serve per sentirsi bene? Per tutti servono le stesse cose? …

COME SI VUOLE OPERARE?
  • stabilendo collaborazioni sulle singole iniziative con altri soggetti della società civile, interessati a portare avanti con noi questo lavoro.
  • proponendo iniziative e attività “di DISTURBO” capaci cioè di sollecitare prima di tutto la curiosità e l’interesse dalle gente comune.
  • utilizzando strumenti volti innanzitutto a far riflettere oltre che a fornire conoscenze, a mettere in discussione pregiudizi radicati
  • proponendo iniziative e attività che puntino l’attenzione NON TANTO SULL’IMMIGRATO, ma su tematiche TRASVERSALI, che riguardino anche la persona migrante, ma che, prima di tutto, riguardano l’essere umano in quanto tale. Per lavorare sul tema della cultura è necessario in un certo senso superare la logica che, seppure con le buone intenzioni,
  • continuando a sottolineare il “noi” (sottintendendo, “italiani”) e il “loro” (sottintendendo gli “stranieri”, indipendentemente dal tempo di loro permanenza in Italia e da qualsiasi altra considerazione), di fatto continua a sottolineare una DIFFERENZA, una DISTANZA, una SEPARAZIONE che invece riteniamo importante superare. Non si vuole negare che ci siano diversi approcci alla vita, diverse convinzioni, mentalità, abitudini, …, ma forse non è corretto pensare che tali differenze siano dovute esclusivamente alle provenienze nazionali.
CON QUALI STRUMENTI?

Partendo dalla considerazione che gli strumenti non sono “neutri”, sarà importante scegliere con cura e oculatezza gli strumenti comunicativi utilizzati in qualunque fase del lavoro. Per quanto non sia pensabile decidere ora quali strumenti privilegiare, riteniamo però che sarà opportuno fare ricorso a una pluralità di linguaggi comunicativi per riuscire a “incontrare” il maggior numero di persone possibile.

COME LAVORARE? QUALE “STILE”?

Probabilmente è difficile stabilire a priori e completamente con quale “stile” operare; quello che invece è possibile è indicare quali sono le “attenzioni” che vorremmo coltivare sia a livello delle relazioni che delle azioni da mettere in atto. Il resto dipenderà, in una buona misura, dalle persone che decideranno di partecipare attivamente al laboratorio culturale e che diventeranno, per questo, i principali attori e artefici del progetto.
Rispetto a questo argomento abbiamo deciso che l’adesione sarà proposta solo alle singole persone e non a gruppi e/o associazioni. Le realtà già strutturate saranno coinvolte volta per volta nelle iniziative organizzate, ma il lavoro che si sta prospettando prevede un coinvolgimento personale che non potrebbe essere delegato ad altri.

Rispetto alle scelte di metodo su cui abbiamo iniziato a confrontarci e che richiederanno comunque ulteriori approfondimenti e discussioni, di seguito vengono indicati alcuni degli spunti emersi.

Viviamo in un contesto in cui, mentre si sente parlare spesso di identità (individuale o collettiva), sembra emergere con sempre maggiore evidenza quanto il definirla sia complesso. Laddove si cerca di farlo, poi, si ha l’impressione che, a volte, si mettano in atto azioni “di difesa”, quasi che per definire se stessi si percepisca come indispensabile negare, sminuire “l’altro”. In questo contesto in cui pochi aspetti dell’identità collettiva, intesa rigidamente, tendono ad essere assunti come criterio per legittimare una discriminazione, si cercherà di lavorare proponendo iniziative in cui abbiano sempre spazio punti di vista, conoscenze e orizzonti diversi)

In una società in cui la maggior parte della comunicazione avviene attraverso il linguaggio orale o attraverso i mezzi di comunicazione di massa (prevalentemente attraverso lo strumento televisivo e la stampa) si cercherà, da un lato, di prestare attenzione, di lavorare anche sul (proprio) linguaggio per “sorvegliarlo”, per individuare e cercare di modificare gli elementi più o meno espliciti di razzismo e discriminazione utilizzati anche inconsapevolmente nei vari contesti di vita (lavorativo, familiare, genericamente relazionale, ….); dall’altro si cercherà di privilegiare anche altre forme comunicative (visive, artistiche, ….).

In una cultura in cui sembra spesso dominante un modello fondato sull’individualismo, sulla paura dell’altro, sul consumo come principale strada per la soddisfazione, la scelta è quella di muoversi all’interno e con la forma di una realtà di volontariato che si fonda su una logica opposta, di sobrietà, di fiducia nell’altro, di coscienza dei propri limiti, di centralità del bene comune, del bene di tutti.

In una società in cui scelte e comportamenti individuali, collettivi, mediatici, istituzionali, legislativi sembrano spesso caratterizzati da aggressività e istintività si cercherà di trovare modi di gestire il conflitto (che inevitabilmente emerge dal confronto con la diversità) che sappiano essere pacati e rispettosi anche delle idee, opinioni, posizioni che non si condividono.

In una società in cui sembra diffusa la tendenza ad affrontare e presentare questioni complicate mettendo in atto una semplificazione eccessiva che non facilita la comprensione, ma che può provocare reazioni essenzialmente viscerali e/o emotive (si pensi al tema della sicurezza), si cercherà di affrontare le “questioni importanti” con l’intenzione di approfondire la riflessione e di promuovere la conoscenza e il confronto.

In un momento storico di crisi della politica, in cui la politica gestita dai partiti, è vista con diffidenza, sospetto o al più con indifferenza, noi continuiamo a credere che occuparsi di cultura sia già di per sé un’azione politica il cui compito dovrebbe “essere quello di garantire il pluralismo delle forme di vita e la coesistenza pacifica delle storie personali e delle culture. Il principio della sussidiarietà in fondo rafforza questa tesi, affermando che la stessa libertà di iniziativa dei cittadini è chiamata a prendersi cura dell’interesse generale e dunque ad assumere un rilievo politico. La cura del bene comune deve diventare una responsabilità diffusa nel corpo sociale” (Filippo Pizzolato).

Gennaio 2010