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Laboratorio Culturale

PREMESSA

15 anni fa nasceva a Bergamo l’esperienza dell’ambulatorio OIKOS. L’obiettivo statutario è di “PROMUOVERE UNA CULTURA CHE RICONOSCA NELLA SALUTE UN DIRITTO PRIMARIO DI CHIUNQUE”.

L’obiettivo ultimo, però, è arrivare a “chiudere” l’ambulatorio perché sarebbe segno che nessuno è più escluso dall’assistenza sanitaria. Ma in questi anni, soprattutto in un contesto come quello lombardo, sembra che non si facciano, che non si riescano a fare, passi in quella direzione. Le ragioni sono senza dubbio molte e attengono ad aspetti diversi (tra cui, non ultimo, le caratteristiche stesse delle organizzazioni di volontariato).
In questi anni la legislazione nazionale ha compiuto importanti progressi per garantire il massimo dell’inclusione, tuttavia è difficile credere che si arriverà realmente (almeno in tempi brevi) ad una situazione in cui la salute sarà riconosciuta come un diritto primario di ogni persona, in cui anche le persone immigrate non iscritte al SSN potranno essere adeguatamente tutelate e in cui, quindi, gli ambulatori come OIKOS termineranno il loro
percorso.

Ripensando all’esperienza di questi anni, una delle evidenze con cui ci siamo misurati spessissimo, è che “la salute non è solo assenza di malattia”. La “salute” di cui si parla nello statuto fa riferimento in modo quasi esclusivo alla salute fisica e alla sua cura, ma nella realtà quotidianamente incontriamo uomini e donne concreti (non solo CORPI decontestualizzati) che esprimono anche attraverso il malessere fisico un disagio più
complessivo, legato spesso alla condizione di immigrato/a clandestino/a in una società poco accogliente.

Alcuni provvedimenti legislativi recentemente approvati a livello nazionale hanno ulteriormente complicato le cose per le persone immigrate e per chi con loro lavora. Ripensando a questi avvenimenti, ci chiediamo da dove “arrivino”. L’impressione è che, in qualche modo, siano figli di una certa cultura che sembra aver fatto dell’”esclusione” un valore, e che sembrano produrre, indurre o, quanto meno, abituare a una certa mentalità,
che stiano provocando comportamenti individuali e istituzionali difficili da condividere.

In questi anni, come OIKOS, abbiamo scelto di muoverci su tre binari: – organizzando, un servizio rivolto agli “esclusi” (l’ambulatorio); – ricercando, mantenendo rapporti con le strutture sanitarie del territorio, principali erogatrici dell’assistenza; – e, soprattutto a livello nazionale (attraverso alcuni organismi di coordinamento come la Società Italiana Medicina delle Migrazioni), collaborando, coinvolgendo (dove e come possibile) e cercando di
ispirare il legislatore perché, di fronte all’evidente esistenza di un bisogno, si progettassero e approvassero politiche sanitarie più “inclusive”.

Osservando le vicende sociali, politiche e legislative anche degli ultimi mesi è apparso però evidente che, se l’obiettivo vuole essere ancora quello di lavorare per “promuovere una cultura che riconosca nella salute un diritto per tutti”, non è (più) sufficiente rivolgere la propria attenzione e azione a chi è escluso. Forse non basta lavorare sull’ambito medico o su quello dei migranti o su quello “politico” dei rapporti con le istituzioni. Sembra sempre più necessario, quasi urgente, muoversi esplicitamente sul versante di chi esclude, non tanto gli organismi di rappresentanza quanto coloro che li eleggono. Se le associazioni sono STRUTTURE SOCIALI INTERMEDIE tra gli individui e le istituzioni, finora come OIKOS abbiamo cercato di lavorare/incidere/interagire più con le istituzioni (almeno locali) che non con “la gente”. E, in questo senso, il non aver interloquito,
coinvolto, convinto “la gente”, gli individui che esprimono la classe politica (coloro che decidono) mostra, in qualche modo, il limite della nostra azione. L’attività di OIKOS può anche essere vista come un modo per continuare a “inseguire un’emergenza”, come una fatica di Sisifo, se non si riuscirà a incidere sul contesto sociale e culturale all’interno del quale nascono le scelte politiche, se non si riuscirà (impegnandosi soprattutto in una
dimensione strettamente locale) a “investire in cultura”, se non si riuscirà a produrre un pensiero diverso e a costruire un consenso sempre maggiore intorno ai temi della convivenza e del legame sociale.

Certo, le difficoltà e le implicazioni che la scelta di muoversi in questo modo può comportare sono molte. Tuttavia, senza interrompere quanto stiamo facendo, né rinnegare quanto fatto finora, ma considerando la storia dell’esperienza OIKOS come la radice da cui questo progetto nasce, come OIKOS riteniamo che questo debba essere un nuovo essenziale terreno su cui investire in futuro.

COME OCCUPARSENE?
Attraverso un LABORATORIO CULTURALE.

Il concetto di LABORATORIO fa riferimento all’intenzione, alla possibilità di costruire iniziative e di vivere esperienze su cui riflettere e far riflettere. Non si vuole assolutamente dare l’impressione di “aver qualcosa da insegnare”.
In realtà l’idea è di ricercare, di sperimentare, di costruire qualcosa di nuovo per chiunque parteciperà a questo progetto. Se davvero vogliamo incontrare persone che finora non hanno mai ritenuto utile o interessante occuparsi di questi temi, bisognerà riuscire a farlo con il massimo della disponibilità possibile, con l’intento di costruire confronti senza pregiudizi o preclusioni.

Con il termine CULTURALE, invece, si vuole fare riferimento a tre concetti:

  1. la cultura COME OGGETTO su cui lavorare. Essa non è una realtà definitiva, immutabile (è un CANTIERE APERTO) e proprio per questa ragione sarà interessante trovare o creare spazi, tempi e strumenti anche nuovi per riflettere sulle caratteristiche della cultura attuale.
  2. la cultura come SCENARIO. Si lavora “NELLA CULTURA” (cioè partendo e tenendo in considerazione il contesto storico, sociale e culturale attuale, in cui ci si muove)
  3. la cultura COME PRODOTTO, COME RISULTATO. Si lavora anche “PER PRODURRE CULTURA”, cioè per sperimentare cose nuove e per produrre cambiamenti in quella che attualmente appare dominante e che è caratterizzata spesso da individualismo, separazione, esclusione.

Pensiamo che la costruzione della cultura non avvenga per trasmissione diretta, ma richieda sempre e comunque un’adesione personale, individuale. Infatti, ognuno è portatore di convinzioni, conoscenze, abitudini, desideri, intenzioni, … propri, che lo rendono assolutamente unico. Le culture e le storie individuali non devono essere negate, tuttavia riteniamo che, sia importante considerare che esse, pur essendo le nostre RADICI, a volte diventano anche delle ANCORE, dei freni, e che un atteggiamento critico nei confronti delle propria cultura può e deve essere sviluppato.

CHE COS’ È UN LABORATORIO CULTURALE?

Un luogo/spazio dove conoscere e far conoscere, riflettere e far riflettere, ascoltare
e far ascoltare, guardare e far guardare, … Un luogo/spazio di COMUNICAZIONE con la città. Non dovrebbe essere un luogo, né si dovrebbero organizzare iniziative rivolte solo ad un’élite, a una ristretta minoranza che già condivide con OIKOS principi, ideali e obiettivi. Andranno pensate, progettate e realizzate iniziative e attività rivolte alla cosiddetta “gente qualunque”.
Un luogo/spazio dove rielaborare quanto succede (a partire magari proprio dall’esperienza di questi anni di OIKOS), dove PRODURRE PENSIERO che possa diventare fattore di trasformazione sociale incidendo sulla cultura e sul costume sociale.

CON QUALE OBIETTIVO?

In effetti, l’obiettivo del laboratorio culturale potrebbe essere lo stesso dell’associazione OIKOS, (“promuovere una cultura che riconosca nella salute un diritto primario di chiunque”) con l’unica differenza che in questo caso il termine “salute” potrebbe avere un significato più ampio.
Sarebbe utile e interessante lavorare sul concetto dello STARE BENE. Quale connessione tra lo “stare bene” e la “salute”? Cosa vuol dire “stare bene”? Cosa serve per sentirsi bene? Per tutti servono le stesse cose? …

COME SI VUOLE OPERARE?
  • stabilendo collaborazioni sulle singole iniziative con altri soggetti della società civile, interessati a portare avanti con noi questo lavoro.
  • proponendo iniziative e attività “di DISTURBO” capaci cioè di sollecitare prima di tutto la curiosità e l’interesse dalle gente comune.
  • utilizzando strumenti volti innanzitutto a far riflettere oltre che a fornire conoscenze, a mettere in discussione pregiudizi radicati
  • proponendo iniziative e attività che puntino l’attenzione NON TANTO SULL’IMMIGRATO, ma su tematiche TRASVERSALI, che riguardino anche la persona migrante, ma che, prima di tutto, riguardano l’essere umano in quanto tale. Per lavorare sul tema della cultura è necessario in un certo senso superare la logica che, seppure con le buone intenzioni,
  • continuando a sottolineare il “noi” (sottintendendo, “italiani”) e il “loro” (sottintendendo gli “stranieri”, indipendentemente dal tempo di loro permanenza in Italia e da qualsiasi altra considerazione), di fatto continua a sottolineare una DIFFERENZA, una DISTANZA, una SEPARAZIONE che invece riteniamo importante superare. Non si vuole negare che ci siano diversi approcci alla vita, diverse convinzioni, mentalità, abitudini, …, ma forse non è corretto pensare che tali differenze siano dovute esclusivamente alle provenienze nazionali.
CON QUALI STRUMENTI?

Partendo dalla considerazione che gli strumenti non sono “neutri”, sarà importante scegliere con cura e oculatezza gli strumenti comunicativi utilizzati in qualunque fase del lavoro. Per quanto non sia pensabile decidere ora quali strumenti privilegiare, riteniamo però che sarà opportuno fare ricorso a una pluralità di linguaggi comunicativi per riuscire a “incontrare” il maggior numero di persone possibile.

COME LAVORARE? QUALE “STILE”?

Probabilmente è difficile stabilire a priori e completamente con quale “stile” operare; quello che invece è possibile è indicare quali sono le “attenzioni” che vorremmo coltivare sia a livello delle relazioni che delle azioni da mettere in atto. Il resto dipenderà, in una buona misura, dalle persone che decideranno di partecipare attivamente al laboratorio culturale e che diventeranno, per questo, i principali attori e artefici del progetto.
Rispetto a questo argomento abbiamo deciso che l’adesione sarà proposta solo alle singole persone e non a gruppi e/o associazioni. Le realtà già strutturate saranno coinvolte volta per volta nelle iniziative organizzate, ma il lavoro che si sta prospettando prevede un coinvolgimento personale che non potrebbe essere delegato ad altri.

Rispetto alle scelte di metodo su cui abbiamo iniziato a confrontarci e che richiederanno comunque ulteriori approfondimenti e discussioni, di seguito vengono indicati alcuni degli spunti emersi.

Viviamo in un contesto in cui, mentre si sente parlare spesso di identità (individuale o collettiva), sembra emergere con sempre maggiore evidenza quanto il definirla sia complesso. Laddove si cerca di farlo, poi, si ha l’impressione che, a volte, si mettano in atto azioni “di difesa”, quasi che per definire se stessi si percepisca come indispensabile negare, sminuire “l’altro”. In questo contesto in cui pochi aspetti dell’identità collettiva, intesa rigidamente, tendono ad essere assunti come criterio per legittimare una discriminazione, si cercherà di lavorare proponendo iniziative in cui abbiano sempre spazio punti di vista, conoscenze e orizzonti diversi)

In una società in cui la maggior parte della comunicazione avviene attraverso il linguaggio orale o attraverso i mezzi di comunicazione di massa (prevalentemente attraverso lo strumento televisivo e la stampa) si cercherà, da un lato, di prestare attenzione, di lavorare anche sul (proprio) linguaggio per “sorvegliarlo”, per individuare e cercare di modificare gli elementi più o meno espliciti di razzismo e discriminazione utilizzati anche inconsapevolmente nei vari contesti di vita (lavorativo, familiare, genericamente relazionale, ….); dall’altro si cercherà di privilegiare anche altre forme comunicative (visive, artistiche, ….).

In una cultura in cui sembra spesso dominante un modello fondato sull’individualismo, sulla paura dell’altro, sul consumo come principale strada per la soddisfazione, la scelta è quella di muoversi all’interno e con la forma di una realtà di volontariato che si fonda su una logica opposta, di sobrietà, di fiducia nell’altro, di coscienza dei propri limiti, di centralità del bene comune, del bene di tutti.

In una società in cui scelte e comportamenti individuali, collettivi, mediatici, istituzionali, legislativi sembrano spesso caratterizzati da aggressività e istintività si cercherà di trovare modi di gestire il conflitto (che inevitabilmente emerge dal confronto con la diversità) che sappiano essere pacati e rispettosi anche delle idee, opinioni, posizioni che non si condividono.

In una società in cui sembra diffusa la tendenza ad affrontare e presentare questioni complicate mettendo in atto una semplificazione eccessiva che non facilita la comprensione, ma che può provocare reazioni essenzialmente viscerali e/o emotive (si pensi al tema della sicurezza), si cercherà di affrontare le “questioni importanti” con l’intenzione di approfondire la riflessione e di promuovere la conoscenza e il confronto.

In un momento storico di crisi della politica, in cui la politica gestita dai partiti, è vista con diffidenza, sospetto o al più con indifferenza, noi continuiamo a credere che occuparsi di cultura sia già di per sé un’azione politica il cui compito dovrebbe “essere quello di garantire il pluralismo delle forme di vita e la coesistenza pacifica delle storie personali e delle culture. Il principio della sussidiarietà in fondo rafforza questa tesi, affermando che la stessa libertà di iniziativa dei cittadini è chiamata a prendersi cura dell’interesse generale e dunque ad assumere un rilievo politico. La cura del bene comune deve diventare una responsabilità diffusa nel corpo sociale” (Filippo Pizzolato).

Gennaio 2010

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Progetto Nabruka, ricerca-azione sulla prevenzione secondaria del tumore al collo dell’utero

Obiettivo  del progetto Nabruka

Offrire un programma di screening primario per patologie HPV-correlate a donne migranti “irregolari” escluse dallo screening anche se residenti nella provincia di Bergamo, ed il triage secondario per quelle a rischio di sviluppare (o portatrici di) SIL di alto grado.

Pazienti e metodi

A  Bergamo, l’Associazione OIKOS Onlus, la LILT Onlus e  l’Istituto di Anatomia Patologica e Citologia dell’ASST Giovanni XXIII di Bergamo hanno offerto alle donne straniere “irregolari”, la possibilità di effettuare il Pap-test gratuitamente.

Dal 6 Agosto 2009 al 6 maggio 2010, 182 donne maggiori di 20 anni si sono rivolte agli ambulatori Oikos Onlus. Di ognuna sono stati registrati: età, grado di istruzione, anni di permanenza in Italia, occupazione, abitudine al fumo, età del primo rapporto, uso di anticoncezionali, n. di aborti.

Le donne sottoposte volontariamente a Pap Test sono state informate dello svolgimento dello studio in corso e hanno sottoscritto il modulo per il consenso informato; il prelievo ambulatoriale cervicale per PAP Test in fase liquida e per test HPV mRNA è stato effettuato presso l’ambulatorio Oikos Onlus da personale ostetrico. Il materiale così prelevato è stato inviato in double-bag entro due giorni presso il servizio di Anatomia Patologica degli Ospedali Riuniti di Bergamo, accompagnato da una scheda  riportante dati anagrafici e clinici. I test sono stati diagnosticati secondo la classificazione Bethesda 2001. Nei casi risultati non-negativi, il materiale è stato utilizzato per valutare l’espressione di HPVRNA (Nuclisens BioMerieux).

Le donne con Pap test negativo sono state invitate a ripetere l’esame dopo tre anni; in caso di test borderline (ASC-US o L-SIL) sono state invitate a ripetere l’esame dopo sei mesi e comunque sottoposte al parere del medico operante presso l’ambulatorio OIKOS;  in caso di ASC-H o H-SIL sono state sottoposte a visita ginecologica ed eventuale colposcopia .

Alle donne reclutate è stata distribuita una brochure redatta in italiano, inglese, francese, spagnolo, russo, rumeno e arabo con informazioni sulle possibilità, i limiti e le modalità del programma di screening, e semplici misure di profilassi delle malattie a trasmissione sessuale.

Risultati

Delle 182 donne valutate 121 provenivano dal Sud-America e 61 dall’Africa e dall’Europa dell’Est. La maggior parte aveva un’istruzione primaria o secondaria ed occupazione come badante o collaboratrice familiare.

165 Pap test (90,66%) erano negativi.

17 campioni (9,34%) sono  risultati:

L-SIL                            35,3%

ASC-US                        35,3%

H-SIL                            17,6%

ASC-H                          11,8%

n. 7 mRNA positivi (41,2%):  n. 3 HPV 16 (42,9%),  n. 2 HPV 31 (28,6%),  n. 1 HPV 33 (14,3%) e n. 1 HPV 18,33 (14,3%)

n. 7 mRNA negativi (41,2%)

n. 3 non valutabili  (17,6%)

Conclusioni

La percentuale di donne con Pap test non negativo e positive all’HPV RNA (9,34%) è in linea rispetto ad un analogo campione di donne italiane (dal 7% al 10% ), con la medesima incidenza di ceppi (16,18, 31 e 33).

Il dato particolarmente significativo riguarda la distribuzione per area geografica: risulta essere positivo il 18% delle donne provenienti dall’Europa, contro il 7% della popolazione proveniente dall’America Latina.

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Progetto Chagas: screening malattia di Chagas nei latinoamericani residenti a Bergamo e Provincia

Centro per le Malattia Tropicali (CMT) dell’ Ospedale S. Cuore di Negrar,  OIKOS Onlus di Bergamo e Medici Senza Frontiere-Operational Center Bruxelles (MSF-OCB)

La Tripanosomiasi americana (detta anche malattia di Chagas dal nome del suo scopritore Carlos Chagas) è una parassitosi causata da protozoi del genere Trypanosoma e diffusa in tutti i Paesi dell’America Latina (dal Messico fino al Cono Sud dell’America Latina). Il serbatoio del parassita sono gli individui infettati cronicamente e numerose specie animali. La malattia può essere trasmessa in zona endemica principalmente attraverso delle cimici ematofaghe che rilasciano con le loro feci le forme infettanti del parassita che grazie a lesioni della cute o delle mucose possono penetrare nel torrente ematico. Nei Paesi endemici ma anche nei Paesi non endemici la malattia può essere trasmessa dalla madre al figlio durante la gravidanza o il parto, con le trasfusioni di sangue o la donazione d’organo, attraverso incidenti di laboratorio. Più recentemente è stata descritta con una certa frequenza la possibilità di trasmissione attraverso ingestione di cibo (in genere succhi di frutta o succo di canna) contaminato dalle cimici vettori. La convivenza con un soggetto con malattia di Chagas non comporta alcun rischio di acquisizione dell’infezione (la malattia non si trasmette per via aerea, con il bacio, con i rapporti  sessuali o tramite il semplice contatto fisico).

Distribuzione geografica, aree endemiche

Si stima che 16-18 milioni di persone siano infettati dal T.cruzi, endemico in 18 paesi dell’America Latina, con sensibili differenze tra Paese e Paese.

Circa il 20% della popolazione boliviana è infetta (1.200.000 di individui, circa), mentre in Brasile la prevalenza complessiva è dell’1,3% (5 milioni di persone), ma raggiunge il 4% nelle aree rurali.

La malattia è tipica delle zone povere rurali, tuttavia i fenomeni migratori verso le aree urbane, verificatesi negli anni settanta e ottanta ne hanno mutato il classico patternepidemiologico. Col tempo tende a diventare una malattia delle aree urbane e periurbane degradate. Anche gli insetti vettori implicati nel ciclo silvestre piuttosto che urbano o perturbano, sono diverse.

Attualmente sono in atto dei programmi di lotta alla malattia in America Latina attraverso alcune iniziative volte a combattere la diffusione dei vettori e ridurre il rischio di acquisizione della malattia.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha promosso poi da circa sei anni la costituzione di una rete di Centri in aree non endemiche che collaborano per la definizione e attuazione di strategie di contrasto alla diffusione della malattia appunto al di fuori delle aree endemiche.

Morbosità/Mortalità

La malattia di Chagas provoca 45.000-50.000 morti all’anno, principalmente per la forma cardiaca cronica. Questa forma colpisce principalmente il cuore (20-30% dei casi) o il sistema digerente (10-15% dei casi). Nel 70% dei casi i pazienti non vanno mai incontro a malattia cronica, ma sono potenzialmente portatori della malattia.

La forma asintomatica o indeterminata sebbene non provochi al momento danno al paziente può evolvere a malattia di Chagas nel corso degli anni e per questo è necessario identificare i casi e sottoporli a trattamento, cosa che riduce il rischio di evoluzione a malattia ed il rischio di trasmissione (ad esempio da madre a figlio).

Migrazioni e Italia

In Italia i migranti latinoamericani sarebbero circa 400.000 secondo le stime dell’ISTAT, ma il numero è probabilmente ben più cospicuo se si tiene conto dei migranti privi di regolare permesso di soggiorno.
Il “tipico” migrante latinoamericano è una donna di età compresa fra i 30 e i 50 anni, che lavora come badante, ha un buon livello di scolarità. Vi sono poi delle grosse differenze in base ai Paesi di provenienza considerati.

Nella sola provincia di Bergamo vi sono circa 18.000 Boliviani, persone ad alto rischio per avere la malattia di Chagas in quanto molto diffusa nel loro Paese. Se consideriamo una sieroprevalenza intorno al 20% questo significa che vi sarebbero ora nella sola provincia di Bergamo circa 3.600 persone sieropositive per malattia di Chagas e che un terzo di queste andrà incontro a problemi (cardiaci o digestivi), 1.200 persone.

Se a questo aggiungiamo il fatto che molti sono irregolari, poveri, non sanno a chi rivolgersi per la diagnosi e cura della loro malattia qualora ne siano a conoscenza, si capisce come la malattia di Chagas costituisca anche in Italia un problema non solo sanitario ma anche sociale con un impatto sulla vita del paziente notevolissimo ma anche sul Sistema Sanitario Italiano.

Non appare grossolanamente affatto paragonabile il costo delle cure di un paziente con cardiopatia dilatativa, eventualmente sottoposto a trapianto e quello della esecuzione di migliaia di test per identificare i casi e trattarli.

Collaborazione OIKOS – CMT di Negrar – Medici Senza Frontiere (MSF)

Da giugno 2010 è nata una collaborazione tra OIKOS, associazione dedita alla assistenza sanitaria di base di migranti irregolarmente presenti sul territorio di Bergamo e dintorni e il Centro Malattie Tropicali di Negrar per l’esecuzione di screening mirati per la malattia di Chagas su persone di origine latinoamericana (soprattutto di origine boliviana). Da giugno 2012 MSF ha iniziato a supportare questo progetto con un’équipe formata da medici, infermieri e mediatori culturali presenti ogni mese nell’ambulatorio di OIKOS. MSF collabora con i volontari OIKOS e con gli specialisti dell’ospedale di Negrar per dare continuità alle attività di promozione della salute e migliorare la ricerca attiva dei pazienti positivi ai test sierologici, in particolare quelli persi al follow up.

Ad ogni paziente cui viene offerto il test, il cui prelievo è eseguito presso il centro OIKOS, viene poi offerto il trattamento e vengono eseguiti presso il CMT gli accertamenti necessari a stadiare la malattia. Questa collaborazione proseguirà per tutto il 2013 con cadenza mensile.

L’esecuzione sinora di circa 1800 tests ha permesso di identificare e progressivamente trattare circa 200 persone di cui la maggior parte era in fase asintomatica di malattia. La prevalenza della patologia nella popolazione screenata e`in linea con i dati presenti nella letteratura scientific

Metodi

Il personale di OIKOS, del CMT e di MSF lavora per l’accoglimento dei pazienti, la raccolta dei dati, l’esecuzione del prelievo, la lavorazione del campione.

La sierologia per malattia di Chagas, presso il laboratorio del CMT, consta nella esecuzione di due test in parallelo (eseguiti con tecniche ed antigeni diversi come richiesto dalle linee guida internazionali e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità), entrambi basati sulla metodica  ELISA: uno sfrutta un antigene parassitario ricombinante e l’altro utilizza frammenti di parassita (rispettivamente Biokit® e BiosChile®).

Obiettivi secondari

Con la raccolta dei dati di prevalenza si intende poi diffondere informazione sul problema Chagas in particolare nell’area di Bergamo in modo da portare alla implementazione di un percorso di salute che i pazienti affetti da questa malattia possono poi percorrere al di fuori degli screening mirati.

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Progetto Educazione alla Salute della Donna: incontri presso la scuola di Brembate Sotto

Relazione sugli incontri di Educazione alla Salute della Donna. Scuola Elementare di Brembate Sotto.

Il progetto nasce dall’esperienza professionale maturata da Clara nel rapporto con le donne immigrate nel corso di  molti anni di attività nel Consultorio ASL di Bergamo  e  ultimamente, a livello di volontariato, anche  all’interno dell’ambulatorio Oikos.

Si propone di promuovere nelle donne una più approfondita conoscenza del proprio corpo nelle sue dimensioni anatomico/ fisiologica ed emotiva nonché di fornire  essenziali informazioni di carattere sanitario su alcuni temi di base al fine di consentire loro di vivere con maggiore  consapevolezza e autonomia la propria dimensione sessuale e riproduttiva.

Il percorso ha preso l’avvio da uno specifico progetto presentato da Clara (che l’aveva precedentemente sperimentato in altri ambiti) all’interno dell’iniziativa “spazio donna” dopo che, in sede di assemblea annuale oikos 2009, si era deciso di estendere l’intervento di educazione alla salute della donna a piccoli gruppi di donne migranti già organizzati sul territorio sulla base di qualche comune interesse.

Si era nominata una commissione specifica composta da Ester Leda Felicita e Gabriella.

Sono stati presi (Gabriella) contatti con una mediatrice iraniana, Maida, per un gruppo di donne islamiche che si riuniscono separatamente in piscina. La stessa Maida aveva suggerito di rivolgere piuttosto l’offerta a un gruppo di mamme immigrate legate alla scuola elementare di Brembate Sotto.

Là esistono infatti un’ associazione genitori e una serie di figure di riferimento all’interno della scuola (particolarmente aperta a progetti di tipo interculturale: vedi il  progetto di corsi di italiano per le donne) in grado di promuovere e monitorare l’intervento ( fra queste, la responsabile del progetto intercultura e , appunto, le mediatrici). Nell’incontro tra Maida e Gabriella si è messo a punto il progetto di massima cercando di tener conto della realtà delle mamme di Brembate.

Gli incontri preliminari hanno visto quindi una serie di contatti tra la mediatrice, la responsabile del progetto intercultura, la preside della scuola e Gabriella e sono sfociati nell’organizzazione di tre incontri con le donne immigrate che si sono tenuti in tre successivi martedì- dal 23 febbraio al 9 marzo- dalle 9 alle 11 circa nei locali della scuola stessa.

L’indicazione di Clara era per un gruppo piccolo di donne che rendesse praticabile un lavoro interattivo. Trattandosi però di un numero complessivo di trenta donne interessate, ci si è accordate sulla formazione di due gruppi  con cui tenere  incontri in momenti separati.

Si è lasciato alla scuola il compito di formare i due gruppi suggerendo come indicazione di tener conto dei criteri dell’età, della provenienza e della competenza linguistica.

Di fatto ci si è  trovate di fronte a un primo gruppo molto numeroso e molto eterogeneo per provenienza: il criterio maggiormente tenuto presente dalla scuola nella  formazione dello stesso è stato quello delle competenze linguistiche.

Le donne, immigrate, erano tutte regolari. Erano presenti – oltre a Clara e Gabriella – anche una mediatrice dell’associazione Arcobaleno e una rappresentante dell’associazione  genitori.

Il gruppo

Il gruppo era composto di circa 18 donne nel complesso (15 al primo incontro, meno numerose il secondo e il terzo, ma con tre nuovi ingressi). L’età variava  dai 21 ai 41 anni.

Provenienze: Albania, India, Marocco, Pakistan, Senegal, Turchia, Ucraina.

Gli incontri hanno occupano uno spazio di circa due ore più un momento a carattere individuale dedicato a rispondere a richieste singole.

Contenuti: concetto di salute, anatomia e fisiologia dell’apparato genitale femminile e cenni su quello maschile, cenni su patologie ginecologiche e loro intreccio con patologie croniche, contraccezione, cenni su gravidanza, aborto, sterilità, prevenzione oncologica.

Metodo

è stato adottato un metodo il più possibile induttivo e interattivo che  sollecitasse la partecipazione di ognuna in prima persona e  la messa in comune delle esperienze;  è stato usato un linguaggio il meno tecnico possibile con frequenti accertamenti del livello di comprensione ed è stato distribuito del materiale illustrato.

E’ stata posta attenzione alle singole persone e alle  richieste di ciascuna, si è cercato di promuovere la conoscenza reciproca  mettendo ciascuna donna a proprio agio e nella condizione di poter parlare liberamente attraverso la disposizione delle sedie (in circolo), la proposta di esercizi di respirazione volti a far prendere consapevolezza di sè, l’utilizzo della musica in funzione di rilassamento.

Partecipazione

la risposta del gruppo è stata nel complesso positiva. Si è avuto un graduale coinvolgimento di ciascuna donna nell’interazione di gruppo. Tutte hanno avuto spazio per esprimere le proprie osservazioni e le proprie richieste. Alcune risposte a richieste particolari – che partivano da un bisogno di risposte immediate a problemi concreti – sono state rinviate a un momento successivo, in modo che le donne avessero a disposizione più strumenti per capire.

Si è creato a nostro avviso un clima molto positivo, favorito dall’atteggiamento semplice, disinvolto e non giudicante dell’ostetrica che invitava le donne ad esprimersi in libertà.

Problemi e difficoltà incontrate

–  il gruppo – per esigenze della scuola che voleva soddisfare l’interesse e la richiesta di tutte – era troppo numeroso

–  la partecipazione non è stata costante per ciascuna donna. Ad ogni incontro si è avuto l’ingresso di una o più persone nuove e non tutte hanno partecipato a tutti gli incontri

–  è risultata evidente una forte disparità di livello culturale e di informazione, legata sia all’età, sia ai paesi di provenienza (ad es. le più giovani di origine marocchina avevano ricevuto informazioni specifiche a scuola, altre, provenienti da altri paesi, erano di fatto prive  delle conoscenze più elementari )

–  sono emerse difficoltà linguistiche (specie nell’uso dei termini tecnici, ma non solo) a livello di comprensione e a livello di produzione, e almeno in un caso sono emerse difficoltà anche di tipo concettuale;

Si è posta quindi la necessità di un forte rallentamento del ritmo previsto, con allungamento dei tempi. Si è operata di conseguenza una riduzione dei contenuti trattati a vantaggio dell’apprendimento e del coinvolgimento di tutte le donne, anche quelle con meno strumenti culturali.

Il tempo si è rivelato decisamente scarso rispetto alla complessità degli obiettivi che si intendeva perseguire (obiettivi di lungo periodo).

Per trattare anche il tema della gravidanza, ad esempio,  sarebbe stato necessario aggiungere almeno un altro incontro.

Il modello di intervento si è comunque dimostrato valido e pertanto riproponibile in altri contesti. Possibilmente in gruppi più piccoli, con argomenti più delimitati e a partire da una richiesta ben precisa.

Ciò che è risultato però evidente è che gli obiettivi che ci si erano  posti all’inizio sono obiettivi di tempi lunghi. Il che apre tutta una serie di considerazioni.

Alcuni nodi problematici

– se l’obiettivo dell’ educazione (che implica un cambiamento in profondità) è un discorso di tempi lunghi, non si tratta allora piuttosto di fare semplice informazione? e su quali contenuti essenziali?

– a chi ci rivolgiamo? ai nostri soggetti privilegiati, cioè le persone non iscritte al SSN, o a tutte le persone immigrate indistintamente?

– in ogni caso, dobbiamo mirare a estendere questo tipo di interventi educativi/informativi ad altri contesti ( vedi la richiesta della Caritas di Villa d’Almè)? E’ meglio puntare ad approfondire il discorso o allargarlo il più possibile a nuovi utenti?

– si pone comunque il problema di operare delle scelte, da una parte in relazione all’obiettivo che ci siamo dati come associazione ( promuovere una cultura che affermi il diritto alla salute per ogni persona), dall’altra in relazione alle nostre risorse limitate (abbiamo solo un’ostetrica, ad esempio, per il discorso rivolto alle donne).

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Progetto MTS: Screening malattie trasmissibili sessualmente in una popolazione di 157 donne prostitute in provincia di Bergamo

Questo lavoro nasce all’interno di un progetto di ricerca-azione promosso dall’ambulatorio OIKOS onlus in collaborazione con La Melarancia onlus, associazione di aiuto per donne vittime della tratta, ed il Dipartimento di Prevenzione della ASL di Bergamo. I dati si riferiscono al periodo Gennaio 2007 – Dicembre 2008.

Obiettivi

Sanitari:

  • quantificare la presenza di MTS in una popolazione a rischio
  • vaccinare contro l’HBV quelle donne che fossero risultate suscettibili

Educativo-relazionali:

  • creare un momento di contatto lontano dalla strada, dove poter dare spazio a richieste, esigenze, racconti

Istituzionali:

  • consolidare un rapporto di collaborazione tra realtà del privato sociale ed istituzioni sanitarie che fosse chiaramente orientato ad una sempre maggiore presa in carico dei bisogni socio-sanitari di una popolazione a rischio da parte delle istituzioni competenti, nell’ambito del quadro normativo vigente, il quale spesso vede dei significativi deficit applicativi da parte delle strutture istituzionalmente preposte.
Metodologia

Alle donne contattate in strada nell’ambito dell’attività de La Melarancia è stato regolarmente proposto di sottoporsi a screening MTS per HIV, HBV (HBsAg e ABsAb), HCV e sifilide (TPPA, VDRL). Gli esami venivano eseguiti presso il Dipartimento di Prevenzione ed in seguito supervisionati da un medico dell’ambulatorio Oikos. Nei casi di positività per le patologie in questione la paziente veniva riferita verso strutture specialistiche, in caso di negatività si invitava la donna a ripetere il test dopo 6 mesi. Nel caso specifico di pazienti HbsAg- ed HBsAb-, esse venivano inviate presso il Dipartimento di Prevenzione per l’esecuzione della vaccinazione per HBV che in base alla normativa vigente spetta di diritto e gratuitamente ad alcune categorie di popolazione a rischio, tra le quali quella in oggetto al progetto.

Risultati

Nel corso di due anni sono state sottoposte allo screening 157 donne. Le difficili condizioni di vita di tali persone hanno condizionato il numero di esecuzioni dei test: a differenza del suggerimento di eseguire il test ogni 6 mesi, nel corso dei due anni hanno eseguito il test 1 volta 108 donne, 2 volte 32 donne , 3 volte 10 donne, 4 volte 4 donne, 5 volte 3 donne. Mediamente ogni donna ha eseguito 1,48 volte i test previsti.
Abbiamo riscontrato 2 casi di HIV (1,27%), 4 di HBsAg+ (2,55%), 2 di AntiHCV+ (1,27%) e 3 casi di sifilide latente (1,91%).
Le uniche due nazionalità con numeri di soggetti rappresentativi erano quella nigeriana (119 persone) e quella rumena (32 persone). Nella donne nigeriane abbiamo registrato 2 casi di HIV (1,68%), 2 di HBsAg+ (1,68%), 2 di AntiHCV+ (1,68%) e 1 casi di sifilide (0,84%). Nella donne rumene abbiamo registrato 1 caso di HBsAg+ (3,12%) e 2 casi di sifilide (6,25%).
Un altro dato significato da riportare è la percentuale di HBsAb+: tra il Marzo ed il Dicembre 2007 tra le 88 donne trovate HBsAg-, 21 erano anche HBsAb+, mentre 67 erano HBsAb-.Alle fine dei 2 anni su 157 donne contattate 49 donne avevano eseguito il vaccino per l’epatite B, 19 per intero mentre le altre lo dovranno terminare nei prossimi mesi.

Discussione

I dati raccolti configurano un quando epidemiologico riguardante HIV ed MTS in donne prostitute della provincia di Bergamo non allarmante. Per quanto riguarda l’HIV i numeri riscontrati si avvicinano a quelle tra le casistiche italiane che stimano una prevalenza più bassa. Per quanto
riguarda la sifilide, pur con tutti i limiti legati alla limitatezza del campione, sembra confermarsi una presenza importante tra le donne provenienti dall’est Europa.I colloqui (tra donna, medico e educatrice professionale) svoltisi in corrispondenza della supervisione dello screening MST hanno rappresentato da un lato un interessante esperimento clinico di medicina narrativa e dall’altro un momento nel quale dare spazio a dubbi, richieste,
propositi per il futuro da parte della donna.
La collaborazione tra 2 realtà del privato sociale ed una istituzione sanitaria come la Azienda Sanitaria Locale ha permesso di consolidare una pratica nella quale pubblico e privato si integrano in una prospettiva di sussidiarietà: il privato sociale svolge il suo ruolo peculiare di “operatività a
bassa soglia” senza però chiudersi in pratiche autoreferenziali, ma al contrario si concepisce in un rapporto dialettico con l’istituzione e la spinge sempre più a farsi carico di quei campi che le spettano per mandato normativo.

Documento integrale del progetto

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Indagine sulla Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) tra le donne straniere

Introduzione al progetto

L’esigenza di condurre uno studio dedicato specificatamente alle IVG effettuate da donne straniere nasce dalla considerazione che l’immigrazione in Italia è in aumento e non è più un fatto congiunturale e transitorio, ma si presenta come fenomeno stabile e strutturale che merita di essere seguito e conosciuto nelle sue dinamiche più profonde. Nel 2003 il dato del Ministero dell’Interno parla di 1.061.718 donne straniere e la stima del Dossier della Caritas è di 1.344.000 straniere regolari nel nostro Paese alla fine del 2004.
Nel tempo si è osservato anche un aumento della proporzione di IVG effettuate da donne straniere: 10.131 (7,4% del totale delle IVG) nel 1996, 21.201 (15,9%) nel 2000 e 31.836 (26%) nel 2003. In alcune regioni, dove maggiore è la presenza di immigrati, questa percentuale risulta più elevata: 38% in Veneto, 37% in Lombardia, 34% in Emilia Romagna, 33% in Piemonte e 31% nel Lazio

Anche i tassi di abortività indicano un ricorso all’aborto molto maggiore tra le donne straniere rispetto alle italiane (rispettivamente 35,5 e 8,1 per 1000 donne in età feconda nel 2002). Se è vero che le statistiche correnti permettono di delineare un quadro generale del fenomeno, tuttavia rimangono largamente inesplorati gli aspetti individuali e culturali che rappresentano una componente importante nelle scelte riproduttive.
Per tale ragione l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nel 2004 ha condotto un’indagine multicentrica riguardante il ricorso all’IVG tra le donne immigrate. L’indagine è stata coordinata dal reparto Salute della donna e dell’età evolutiva dell’ISS (dal 1980 responsabile del sistema di sorveglianza epidemiologica delle IVG) in collaborazione con l’Agenzia di Sanità Pubblica della Regione Lazio.

I principali obiettivi dell’indagine sono stati:

  • approfondire le conoscenze sulle scelte riproduttive nella popolazione immigrata;
  • individuare eventuali fattori di rischio e le motivazioni del ricorso all’IVG;
  • evidenziare le differenze tra i gruppi etnici;
  • valutare l’accesso ai servizi e le difficoltà più frequentemente incontrate dalle donne immigrate;
  • fornire agli operatori proposte per migliorare l’organizzazione dei servizi e per la prevenzione dell’IVG.
Documento integrale dell’indagine

Download (PDF, 181KB)

Presentazione dell’indagine

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Corsi di Formazione

L’associazione OIKOS Onlus effettua periodicamente corsi di Formazione per gli operatori riguardo a temi importanti quali la salute, la legislazione, la tutela della privacy.